IL DOCUMENTARIO DI MARTIN SCORSESE SU BOB DYLAN

''Questo film per me e' un atto d'amore''. Martin Scorsese , dal palco del cinema Medica di Bologna, ha spiegato cosi' al pubblico cio' che lo lega a 'No direction home', il documentario su Bob Dylan presentato ieri sera in anteprima nazionale nel capoluogo emiliano, nell' ambito della rassegna Officinema Festival organizzata dalla Cineteca comunale. Il regista (che domani ricevera' la laurea honoris causa in Cinema dall' Universita' di Bologna e, nel pomeriggio, il Premio della Fondazione Fellini a Rimini) ha parlato una decina di minuti prima della proiezione, concedendosi solo ai fotografi ma non alle domande dei cronisti, con i quali non e' previsto alcun incontro in queste giornate bolognesi.

Accolto con grande calore dalla platea che lo ha applaudito piu' volte, Scorsese ha ringraziato in italiano e ha raccontato come e' nato questo film-documentario ('dura tre ore e mezzo, siete avvisati', ha scherzato). ''Un film che non volevo fare'', ha detto. ''Mi sentivo troppo coinvolto quando Jeff Rosen (manager e archivista di Dylan ) e' venuto a propormi il progetto''.

Ma a convincerlo e' stata l' intervista di 10 ore che lo stesso Rosen aveva fatto a Dylan in cinque giorni, oltre al materiale inedito proveniente dall' archivio del cantante (film, audio, foto, manoscritti) messo a disposizione. Cosi', senza nessuna scadenza, Scorsese si e' messo al lavoro con l' unico vincolo che la narrazione si fermasse al 1966.
''Si lavorava al montaggio nella stanza accanto a quella in cui si stava montando 'The Aviator'. Lavorare contemporaneamente su un film e su un documentario per me ha avuto un effetto 'energizzante''', ha spiegato il regista, che ha speso tre anni e mezzo sul materiale. ''Non sono una grande autorita' su Dylan '', ha tentato di schermirsi Scorsese , che invece e' un' autorita' anche in fatto di documentari musicali, da 'Woodstock' (1970) in cui fu assistente di regia e di montaggio, alla storia della Band di 'The Last Waltz' (1978), alla serie piu' recente sul Blues di cui fa parte il suo 'Feel Like Going Home'.

In 'No direction home' Scorsese racconta in particolare i primi anni della carriera di Dylan fino al grande successo.
''Il punto era capire come un artista crea la sua visione, quale sia la voce che ascolta, la sua dentro di se' o quella degli altri, anche a costo di tradire il suo pubblico''. E proprio questo ''tradimento'' e' lo spunto narrativo scelto da Scorsese per il film e incarnato dal passaggio di Dylan dalla chitarra acustica a quella elettrica, dal folk al rock, dal suo rifiuto sempre piu' esplicito di restare per sempre quel cantante di protesta che aveva conquistato la nuova generazione ribelle degli anni '60.

''Io ero una specie di outsider - racconta Dylan nell' intervista, ripreso in primissimo piano, spesso ironico e autoironico - Volevano farmi diventare un cantante specializzato, volevano farmi diventare uno di loro, ma niente da fare...''. E ancora, riferendosi alle pesanti contestazioni del pubblico, quando comincio' a suonare anche con la chitarra elettrica: ''Non capivo perche' disapprovassero. Ma era una cosa che non riguardava le canzoni''. Era la pretesa del pubblico di vedere un simbolo ripetersi all' infinito, un idolo da cui volevano sempre di piu', come spiegano alcuni suoi amici nelle interviste. Il ritmo del film tende a questo finale drammatico, fino alle contestazioni del tour inglese del maggio 1966, quando Dylan fu chiamato 'Giuda', 'traditore', 'falso', 'ipocrita' dal pubblico.

Poi il documentario si chiude quasi bruscamente, con la notizia che nell' autunno dello stesso anno il cantante ebbe un incidente in moto e che riprese a fare concerti solo otto anni piu' tardi. La storia di Bob Dylan e' raccontata da testimoni di lusso, che, tra musica e parole, valgono da soli il film. Cosi' si va da Allen Ginsberg a Pete Seeger a Joan Baez . Si vedono spezzoni con Woody Gutrie , Andy Warhol , Ferlinghetti , estratti da 'Festival' di Murray Lerner , e poi tanta musica, country, folk, rock.

Ma insieme a questo Scorsese voleva anche ''restituire sensazioni, soprattutto per le nuove generazioni'', come ha detto lui stesso ieri sera, su anni che hanno cambiato il mondo. Cosi' la storia di Dylan e' intercalata da documenti sui fatti di quegli anni, dalla marcia per i diritti civili di Luther King ('tuttora influenza il mio pensiero', dice di lui il cantante), alla crisi di Cuba, agli assassinii di Kennedy e di Oswald, al Vietnam. Ma quello che resta alla fine sono le persone, sembra voler dire Scorsese che ha concluso con parole un po' enigmatiche il suo breve intervento: ''Al centro di questo film ci sono gli occhi di Bob Dylan . Lui dice molte cose, ma i suoi occhi vanno altrove...''.

di: Luisa Gallignani per ANSA da: Dagospia del 25 Novembre 2005

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