ROBERTO ROSSELLINI dal cinema alla televisione di Elisabetta Manfucci
Il pubblico e certa critica italiana, che avevano amato Roberto Rossellini per film quali Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero , gridarono al tradimento quando nel 1964 Rai Uno trasmise L'età del ferro , documentario televisivo in cinque episodi, diretto dal figlio Renzo. E' che in fondo non si ritrovava più quel Neorealismo che aveva caratterizzato i primi film del regista, ma che già nel 1948 con L'amore (tratto dall'atto unico di Jean Cocteau La voix humaine ) il pubblico aveva parlato di crisi del regista romano.
Ripercorriamo allora con ordine alcune delle tappe più significative di un lungo iter, caratterizzato dall'utilizzo non solo del cinema e della televisione, ma anche del teatro e dell'opera lirica, quali strumenti capaci di parlare alla gente e di porre sempre al centro dell'attenzione l'uomo in tutte le sue sfaccettature.
Roberto Rossellini, figlio di una ricca famiglia borghese, il padre era costruttore edile, lascia gli studi classici per accostarsi alla meccanica, in particolare egli è amante delle macchine da corsa. Riesce grazie al benessere economico in cui vive, a fare delle sue passioni un lavoro, e si accosta al cinema, dapprima grazie ad alcuni amici, poi spinto dalla curiosità. Realizza una serie di cortometraggi sulla natura e l'ambiente. Ricordiamo: Daphne (1936), Prélude à l'aprés-midi d'un faune (1938), Fantasia sottomarina (1939), Il tacchino prepotente (1939), La vispa Teresa (1939), Il ruscello di ripasottile (1941).
Il primo film Roberto lo realizza nel 1941, è La nave bianca , che insieme a Un pilota ritorna (1942) e a L'uomo della croce (1943), costituisce la cosiddetta "Trilogia della guerra". Al riguardo si è parlato di film di propaganda fascista, basti pensare che Un pilota ritorna nasce da un soggetto di Vittorio Mussolini, ma è bene considerare che l'intento almeno iniziale del regista non era quello di propaganda al regime. L'attenzione di Roberto per l'uomo, per la guerra, hanno sempre un posto di primo piano nella sua produzione. Inoltre, caratteristica di questi primi film è l'aspetto documentaristico, che si unisce a spunti romanzeschi, (come la vicenda dell'amore della crocerossina con il marinaio in La nave bianca ), creando un blocco omogeneo. Il realismo di Rossellini è già vivo in queste sue prime opere. Non si tratta di una teoria del "pedinamento", quale ci presenterà in seguito Zavattini, piuttosto di un lasciare muovere i personaggi nei loro ambienti originali e seguirli mentre le vicende sembrano snodarsi da sé.
Con il termine di Neorealismo, non s'intende raffigurare il reale, ma proporre una "posizione morale". Se al centro del discorso c'è l'uomo, in tutta la sua unicità, esso si trova di film in film, di fronte a problemi di vario tipo, che deve affrontare. Il modo in cui egli fronteggia l'ostacolo, genera una realtà che diviene situazione da filmare, e da proporre allo spettatore.
I sei episodi in cui è strutturato Paisà (1946), rendono chiaro ciò. Al centro del film non tanto la guerra, come realtà storica, essa è sì presente, ma piuttosto come sfondo, come pretesto per mostrare uomini soli. Sola è Carmela, la ragazza del primo episodio, che guida le truppe americane all'avamposto dei tedeschi, solo il bambino che ruba le scarpe al soldato, sola la crocerossina che disperatamente cerca Lupo, il vero amore, o i francescani arroccati nel loro monastero. La solitudine è allora non solo uno stato fisico, tangibile, che ben inquadra la macchina da presa isolando i protagonisti dal resto dei personaggi, soffermandosi su di essi con lunghi piani sequenza. La solitudine è una condizione morale, di chi ha perduto ogni tipo di speranza, e vive senza più domani.
Gli interpreti che Rossellini sceglie per i suoi film sono presi dalla strada, si tratta di gente qualunque, non solo per motivi economici, ma per il preciso intento di vedere nel volto di un personaggio quello di tutti gli uomini, lontano dai miti dello star sistem.
Dal 1948 al '54, si susseguono i film che hanno come protagonista Ingrid Bergman, compagna del regista nella vita privata ed artistica. In essi non viene certo tradita la tematica di fondo del Neorealismo, anche se è del tutto cambiato lo scenario in cui si muovono i personaggi.
Questi, inoltre, subiscono uno scavo, che alcuni hanno definito troppo intimistico o psicologico, senza ragione. Perché a ben guardare, Rossellini non viene certo meno alle tematiche dell'inizio. Al centro dei suoi film c'è sempre l'uomo, anche se esso si trova immerso nella fitta ragnatela della società borghese, come in Europa 51 , o in una trama mistica, come in Stromboli, terra di Dio .
Al di là dei pretesti che la narrazione offre ai vari scenari, si muovono individui ben precisi, caratterizzati sempre dalla solitudine come leitmotiv portante. Pensiamo alla stracciona del secondo episodio del film L'Amore , un'Anna Magnani che in un sopruso commesso da un pastore, che ella crede San Giuseppe, vede la possibilità di un riscatto, di recuperare nella sfera del divino quella dignità che gli uomini gli hanno negato sulla Terra. Eppure, anche se la speranza non sembra essere di questo mondo, troppi orrori sono passati sotto i nostri occhi, tuttavia c'è la possibilità di un riscatto, di una redenzione, nella comprensione degli individui, nel loro silenzioso soccorrersi. Rossellini non si rifugia nel conforto della fede, anche se afferma di non capire come non si possa credere.
Nel 1953, Roberto dirige per il teatro San Carlo di Napoli l' Otello di Verdi e la Giovanna d'Arco al rogo di Claudel e Honegger, sotto forma di opera lirica. Qui Rossellini ha la possibilità di confrontarsi con un nuovo mezzo, proseguendo sempre il suo discorso sull'uomo.
Il teatro, a differenza del cinema, non da la possibilità di scavare sul personaggio mediante il piano sequenza, che inquadra piccoli particolari, ma offre la possibilità di varie sperimentazioni sullo spazio, sul luogo scenico.
Roberto ha la possibilità di mettere a punto nuovi congegni, ricordiamo che per la meccanica fin dalla giovinezza aveva nutrito una grande passione. I trucchi del teatro - quali il sistema degli specchi, ovvero uno specchio si mette davanti alla cinepresa, spruzzando su di esso una soluzione di glucosio e sali d'alluminio, affinché la superficie diventi trasparente e dei modellini posti davanti ad esso sembrano grandi palazzi, o regge maestose - saranno portati anche nella televisione.
Tra i film televisivi, realizzati nel decennio 1964-74, il più fortunato sarà considerato La presa di potere di Luigi XIV . Il mezzo televisivo è stato per Roberto ricco e stimolante, poiché gli ha dato la possibilità di spezzare il racconto narrativo in episodi essenziali, mentre ciò non era possibile al cinema caratterizzato dalle due ore canoniche di spettacolo. L'assenza di raccordi narrativi è il punto estremo a cui egli voleva giungere, la pura essenzialità, dove le immagini si mostrano da sole, senza più bisogno dell'intervento del narratore-regista. I personaggi della serie televisiva "Socrate", "Pascal", e tutti gli altri, sono smitizzati. Ciò che interessa non è il fasto della storia, il suo momento celebrativo, bensì il momento in cui in primo piano c'è l'uomo con i suoi dubbi, i suoi travagli spirituali e razionali. Ecco dunque un rapido quadro, naturalmente incompleto, che vuole stimolare ogni appassionato di cinema al suo personale approfondimento.
BIBLIOGRAFIA
Gianni Rondolino, Roberto Rossellini , Il Castoro, Milano 1995.
Roberto Rossellini, Il mio metodo , a cura di Adriano Aprà, Marsilio 1987.
Roberto Rossellini, Televisione e storia , centro cinema città di Cesena.
Edoardo Bruno, Roberto Rossellini , Bulzoni, Roma 1979
Sergio Trasatti, Rossellini e la televisione , La Rassegna , Roma 1978
Stefano Masi-Enrico Lancia, I film di Roberto Rossellini , Gremese, Roma 1987.