MONSIEUR TATI
Il seguente brano, tratto da un articolo che Schefer dedica a Tati (Jean Louis Schefer, Monsieur Tati , «Cahiers du Cinéma», n. 342, dicembre 1982, pp. 31-33) – omaggio al cineasta che ha ravvivato la sua giovinezza – non si limita a vedere nell'autore francese l'erede di Chaplin, Buster Keaton, Harry Langdon. Di Tati Schefer rileva il suo essere silhouette , ovvero presenza immateriale in un mondo fatto di cose, il suo ‘contrasto' nei confronti della società (uomini, istituzioni, abitudini sociali). Per il critico il corpo di Tati, il suo linguaggio mimico, hanno messo in luce lo sforzo incessante dell'uomo su se stesso, il lavoro che ciascuno compie per apparire ‘normale' dinanzi agli altri.
Estratto della tesi di laurea in Storia e Critica del Cinema di Elisabetta Manfucci "Estetica del cinema negli scritti di Jean Louis Schefer".
Come una silhouette , in tempi assai brevi, Tati si è affiancato a Chaplin, Buster Keaton, Harry Langdon ( Papa da un giorno, una delle cose più belle della mia vita). Questa silhouette non rispecchia né ritrae alcunché: rappresenta piuttosto un effetto di 'smorzamento' senza di cui non c'è possibilità di scenario.
L'umorismo di Tati, semplicemente, ha fatto di Monsieur Hulot una specie di spirito (nel suo linguaggio un etnologo). Il mondo di Tati non sottostà a qualche legge di tipo storico, a cui invece ogni linguaggio è soggetto (l'intera umanità udibile è sottomessa a ciò).
Tati non inizia, eccetto che con i bambini. Il bambino, escluso dalla rappresentazione, ha invece, il suo posto in teatro, nel ‘Guignol'. I bambini hanno diritto a Tati. La silhouette ha trasformato il mondo in un rottame, mostrando l'inconsapevolezza che esso ha di ciò.
L'Olanda da me vista durante un viaggio del tutto particolare (treni di soccorso, Croce rossa, bambini rinchiusi in un lazzaretto in mezzo a lande desolate, non un'infermiera che parlasse francese, tutte che brontolavano in dialetto mentre portavano da mangiare, ragazzini magrolini o tignosi, scampati ai bombardamenti), a cui penso spesso, fu filmato da Tati come se egli ci fosse stato.
Tati aveva mostrato la sofferenza di riandare con la mente all'età dell'infanzia, quella vaga impossibilità di afferrare un tempo ormai trascorso. Queste immagini vivono in me, riaffiorano nitide. Un adulto (‘un grande', come dicono i bambini) che gioca a biglie con dei ragazzini, perché in lui sono ancora vive certe immagini (i cani, i ruscelli, i cavalli non domati).
Tati ha ereditato le trasformazioni del «Kid» tra Chaplin e W.-C. Fields. Dopo essere stato in Olanda ho visto Giorno di festa e le immagini si sono mischiate tra loro: la piazza di Sainte-Sévère ha rappresentato davvero qualcosa per me (ci sono tornato spesso, cercandovi certe scene del film, l'arrivo in campagna, il caffè, ecc. ).
Giorno di festa è stato il film di guerra più crudo che abbia mai visto, perché la ferita che lascia è inflitta da un personaggio che, a partire da questo film e poi in tutti gli altri, si diverte a mimare ciò che tu hai sperimentato sulla tua pelle dopo la Liberazione.
Il fantasma del cacciatore bianco in Sylvie et le fantôme è una specie di spirito che incarna l'indecisione, i sentimenti, i ragionamenti dei bambini, a cui non è dato di vivere in un mondo migliore poiché non sanno mettere da parte i soldi. Il mondo di questi spiriti è piccolo, in continuo movimento, animato da progetti di azione, da sofferenze e gioie vane.
Ora provo a ricapitolare il mio Tati. Egli guarda alle infermiere con gli occhi di un fanciullo…mai la benché minima volgarità. La sua unica gag è la presenza cocciuta del personaggio, indocile (mai impacciata, agile come l'elasticità di un grosso animale che s'infila in una piccola buca…e la tana di Tati è il Guignol).
Tati ci ha fatto conoscere il suono, lavorandoci su, il Tempo che scorre implacabile e sempre uguale a se stesso, pari a una molle bobina: la sua gag consiste nella testardaggine di rifare sempre lo stesso spettacolo (grottesco?), quello di un uomo che si accanisce a vivere come gli altri.
Questo bambino gigante esprime tutta la tragedia dell'uomo costretto a vivere di ricordi. La sua gag mostra il vivere insieme degli uomini, è di carattere sociale, non comico. Egli tenta di catalogare i francesi: ingegneri, caffettieri, piccoli commercianti, portieri, Americani dall'accento francese, ecc. sotto l'unica specie della comunicazione come ideologia. La gag nasce dal mostrare l'uomo storico in cui i sociologi devono credere.
Cerco di rivedere il modo con cui Tati ha guardato all'Olanda. Infermiere, treni, bambini sdraiati per terra, la stazione, le bombe, gli olandesi, i rumori delle porte sbattute delle baracche in mezzo alle lande deserte: tutto ciò non si può sentire, passa nei suoi film come un vano impeto d'amore.
Guardando i suoi film le scene della mia giovinezza riaffiorano vive: la bicicletta del mio primo amore, una ragazza olandese, i polli che becchettano per terra, i prati e la spiaggia deserta – che non mostra la fine delle vacanze, quando le amicizie si perderanno, ma il sentimento della solitudine quando tutto ormai è finito. Non il rimpianto per ciò che è passato, ma l'angoscia di restare soli con se stessi (come quando un ragazzo resta solo a festa finita).
Tati ha mostrato la fine di tutti gli scenari, la ragazza che seduce o strappa emozioni ( Le Vacances de Monsieur Hulot, Playtime ), che trova per terra un messaggio d'amore, poche righe, il gioco non finito di un poeta distratto. La giovane raccoglie la lettera, credendola indirizzata a lei, che diviene il simbolo dell'Umanità.
In che modo Tati ha filmato il comico senza mostrarlo, la piccola angoscia dei bambini in mezzo a riunioni di adulti? Per mezzo del suono l'attore ha creato una gestualità, ha suscitato dei sentimenti mostrando oggetti che passano per i dettagli del montaggio.
Ripenso alla ragazza che ha raccolto la lettera da terra, al personaggio che l'ha scritta, colui che per tutto il film resta nel fuori-campo. Tati-Hulot porta a termine l'idillio mai avvenuto facendo uscire di scena la ragazza, non solo dal film, ma dall'Universo intero.
Tati ha mostrata la difficoltà e il disagio dell'uomo nell'adattarsi alla vita. Il corpo? Teatro Nô, teatralità d'Oscar Schlemmer, Harry Langdon che dorme mentre si svolgono le avventure e scorrono le immagini, senza fermarsi in quelle né in queste.
Tati è indimenticabile non solo perché lo abbiamo visto quando eravamo bambini, ma perché ci ha mostrato un sentimento che stava nascendo in noi, l'amore in sé, rivolto a niente e a nessuno (la fiamma che si consuma senza storia, senza tremiti, né scontri), fino al momento in cui l'immagine si stacca dal film, pura immaterialità, mostrando un movimento sublime, pari al vetro di Playtime che si innalza fino al cielo.
La mimica di Tati è stata nella nostra vita di bambini (in mezzo alle ricreazioni, ai compiti fatti in fretta e male), quando non ne eravamo ancora consapevoli. Tati ci ha imitato, preservando qualcosa della nostra infanzia in sé, quando questa era per noi ormai trascorsa.
Dell'infanzia ha conservato tutta la profondità dei sentimenti, il senso di giustizia, l'amore pari a quello della ragazza del film (che non è un corpo ma un oggetto, cioè un'emozione), il vetro della finestra di Playtime che cadendo ci lascia nel blu.