ITALIA ANNI '60 - L'ORO DEL CINEMA ITALIANO   di Graziano Marraffa

FELLINI e ROMA

Dopo aver terminato " I vitelloni " (1953), Federico Fellini pensò ad un probabile seguito che avrebbe dovuto intitolarsi " Moraldo in città ", ovvero l'avventura del protagonista trasferitosi a Roma, la città eterna.

Con i fedeli Flaiano e Pinelli riuscì a realizzare in parte il soggetto originale solamente a fine decennio, in un'Italia già trasformata da società agricola ad industriale.
"La storia incomincia e il viaggio è gia finito" è la frase che nel '65 Pier Paolo Pasolini fa pronunciare al corvo marxista (suo alter ego) nel film " Uccellacci e uccellini ".

Infatti, quando nel'59 Fellini genera " La dolce vita " (e con essa un enorme coro di polemiche ed accesi dibattiti quantomeno inevitabili nell'ideologia conformista dell'epoca), tutto ciò che la sua monumentale opera va descrivendo, non è nient'altro che la fine d'un modus vivendi fino allora esistito e messo in pratica (come ci illustra il film) nella capitale da borghesi d'ogni categoria, provinciali trapiantati a Roma con velleità artistiche (primo fra tutti Marcello Rubini, il personaggio principale del film, interpretato da Mastroianni ), nobili dissoluti, cinematografari d'assalto.

Il film, che rappresenterà nella storia del cinema italiano del dopoguerra un fondamentale punto cardine (così come altrettanto lo furono " Ossessione ", 1942, di Luchino Visconti e " Roma città aperta ", 1945, di Roberto Rossellini , durante la stagione del Neorealismo ), ha un titolo pressoché allegorico: così come si presenta la vita dei protagonisti risulta essere contraddistinta dall'amarezza di fondo, dall'insoddisfazione perenne nei confronti d'una società opulenta priva già d'ogni etica morale che sarà a sua volta il turbine che avvolgerà totalmente l'esistenza di Marcello, giornalista con ambizioni di scrittore dall'intensa attività mondana.

"Ma sì, ha ragione lei, sto sbagliando tutto, stiamo sbagliando tutto!!!" afferma Marcello raccogliendo il sensualissimo invito di Sylvia ( Anita Ekberg ) a seguirlo nell'improvvisato bagno notturno nell'acqua della Fontana di Trevi : rito simile ad un lavacro purificatore con un'ombra di peccato che resterà incompiuto quando il silenzio delle prime luci dell'alba incomberà solenne nella sequenza più altamente poetica dell'intero film.

Né Marcello riuscirà al termine di queste sette convulse notti romane ad intendere il richiamo della purezza : appena terminata la lunga orgia nella villa di Fregene, all'esterno l'attenzione dei presenti viene attirata dal ritrovamento sulla spiaggia di un enorme mostro marino che sembra additare di mostruosità proprio la comitiva intorno a lui riunita (e, mentre accompagna Marcello, Dominò pronuncia la frase nella quale è sintetizzato il presagio del totale disfacimento al quale sta andando incontro la società italiana: "Nel '65 sarà tutta una depravazione completa… mamma mia che schifo ne verrà fuori !!!"); dall'altro lato , alla sua sinistra, Marcello nota che Paola, la giovanissima ragazza che conobbe qualche tempo prima recandosi sul posto per battere a macchina uno dei suoi scritti, lo sta chiamando.

Ma egli è ormai talmente risucchiato dallo squallore che lo circonda da non saper raccogliere il messaggio di speranza e ritorno alla semplicità che Paola cerca di comunicargli: nel più bel finale mai realizzato nella storia del cinema italiano è proprio il suo volto a rappresentare l'autentica dolcezza di vivere.

di Graziano Marraffa

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