INTERVISTA a LUCA AGOSTINO di Renato Francisci
Luca Agostino è il regista e co-sceneggiatore del cortometraggio "Pagine strappate".
- Come è nata l'idea del tuo cortometraggio? Cosa hai voluto raccontare?
L'idea di realizzare "Pagine Strappate" è nata dall'esigenza di raccontare una realtà: quella dell'ex Ospedale Neuro Psichiatrico di Racconigi (Cn), che poi è la cittadina in cui vivo. Il manicomio è stato chiuso nel '96, dopo 125 anni di attività, e da allora versa in uno stato pietoso e di completo abbandono. E' come un enorme “Titanic” di mattoni arenato sui fondali di una città dove sono racchiuse migliaia di pagine strappate, testimonianza delle vite interrotte dei pazienti. Fin qui la realtà. Poi, visto che secondo me il cinema deve aiutare a sognare, abbiamo provato, attraverso la finzione, a restituire un po' di speranza a una di queste pagine strappate.
- Sei partito da una sceneggiatura? hai variato qualcosa durante le riprese?
Vista la delicatezza del tema la sceneggiatura ha richiesto quasi due anni di studio del luogo, proprio per comprendere dove si dovesse fermare la finzione e iniziare la realtà. Il risultato è stato una sceneggiatura a otto mani, scritta da me, da Annalisa De Vitis, Francesco Giugiaro ed Elena Lucia Marcon. Naturalmente, durante le riprese sono state necessarie alcune modifiche, soprattutto nelle scene interpretate dagli ospiti della Comunità “Il Germoglio”.
- La location è stata fondamentale....
Il manicomio dista un centinaio di metri da casa mia. Per anni sono passato accanto al muro di cinta e non mi sono mai chiesto che cosa ci fosse oltre. Poi un giorno ho avuto la fortuna di entrarvi e sono stato rapito dalle mille stranezze di questo posto, che lo rendono tremendamente affascinante. Basta guardare il corto per capire cosa intendo…
- E la colonna sonora?
La colonna sonora è originale, composta dal Direttore d'orchestra Paolo Marenco. Paolo, quando ha visto le immagine del film non ha potuto fare a meno di improvvisare un tema al pianoforte: così è nata la colonna sonora. Il pianoforte da solo – anche se non apprezzato da tutti - è forse l'unico strumento capace di darti quel senso di vertigine che il manicomio ti trasmette.
- Come hai trovato / contattato gli attori protagonisti?
L'intento principale era quello di cercare di coinvolgere il maggior numero possibile di racconigesi durante la realizzazione del progetto: per esempio la bambina protagonista della storia è stata scelta dopo diversi casting nelle scuole elementari del paese. I ruoli della Dottoressa e del protagonista sono stati invece dettati da una carenza di budget, che non ci ha permesso di avvalerci di attori professionisti, come in un primo momento era stato deciso.
- Hai usato tecniche particolari nel montaggio?
Tendenzialmente no: un montaggio classico era sicuramente la risposta migliore per il tema trattato. Ciò non toglie che ci siano alcune scelte del tutto personali, ad esempio tracciare un netto parallelismo tra la vicenda del protagonista e quella di sua sorella, oppure l'inserimento di fotografie in bianco e nero a tutto schermo chiamate a descrivere il viaggio di Pietro all'interno del manicomio.
- Quante persone hanno lavorato con te?
Tantissime! Questa è la cosa che mi piace di più nel lavorare ad un progetto filmico. Tante persone che lavorano insieme per lo stesso fine, prestando attenzione gli uni alle esigenze degli altri, quasi a corteggiarsi l'un con l'altro… in effetti la nostra associazione produttrice del film si chiama proprio… “corteggiamo”!
- Che ne pensi del digitale? sei rimasto soddisfatto del risultato
ottenuto? o che problemi ti ha dato?
E' una grande risorsa. E secondo me è sbagliato metterlo in competizione con la pellicola. Sono semplicemente due cose diverse, chiamate in modo diverso a lavorare con il cinema. Personalmente sono rimasta molto soddisfatto dei risultati ottenuti. E' vero che il digitale non ha la stessa resa della pellicola, ma sinceramente grazie alla fotografia di Pietro Sciortino tutto ciò non rappresenta un problema, anzi.
- Il tuo è stato un film a basso costo? se oggi avessi il doppio
della somma disponibile per rigirarlo, cosa cambieresti?
Non è propriamente un film a basso costo, diciamo piuttosto a budget basso – nel senso che un po' di soldi sono stati spesi, ma non quanti ne sarebbero serviti davvero. Ad avere il doppio dei soldi sicuramente avrei provato a lavorare con un buon cast di attori professionisti, anche piuttosto noti. Un'altra spesa che avrei volentieri sostenuto sarebbe stata quella di mettere a disposizione del reparto fotografia maggiori mezzi tecnici, ma soprattutto avrei girato in pellicola, o quanto meno, sarei ricorso alla vidigrafia. Purtroppo nei festival, la pellicola ha ancora il suo peso.
- Dal punto di vista delle riprese, ti sei ispirato a qualcuno?
Sinceramente no. Ho semplicemente immaginato.
- Che film guardi? quali registi ammiri?
Non sono un grande cinefilo. Sicuramente il regista che amo di più è Charlie Chaplin, perché nel suo lavoro è racchiuso il mondo del cinema. Nei contenuti e nelle forme. Se invece dovessi citare un regista italiano direi Gabriele Salvatores.
- Che radici ha la tua passione per il cinema? e per i cortometraggi?
Sono inguaribile ottimista, romantico, sognatore. Da ciò, considero il cinema un po' il mio habitat naturale. Soprattutto perché mi piace immaginare. I corti sono, secondo me, la maniera migliore per cimentarsi con questo mondo, poiché nella loro breve durata è comunque racchiusa la potenza espressiva del mezzo: la poesia del cinema.
- Con un corto in mano, come pensi di farti notare come autore?
Distribuendolo a più non posso, finchè ce n'è ancora un pezzo. Fortunatamente il digitale non si rovina… E' inutile fare delle cose, per poi tenerle nei cassetti, o farsi divorare dal desiderio di iniziare subito un'altra cosa.
- Ora che stai preparando? facci qualche anticipazione.
Qualcosa bolle in pentola. E' ancora troppo presto per parlarne, magari più in là.
Grazie tante, Luca, e buon lavoro!