LA SCRITTURA PER IL CINEMA di Angelo Pasquini* - da TRECCANIscuola
Un tempo, più di cinquant'anni fa, Billy Wilder poteva legittimamente far dire allo sceneggiatore protagonista di Viale del tramonto un'amara battuta: "Che ne sa il pubblico degli scrittori di cinema? Pensa che sia tutto merito degli attori e dei registi...".
Ora le cose sono parecchio cambiate, anche in Italia: lo spettatore medio si è abituato all'idea che, prima delle riprese, ci sia un lungo e complesso lavoro di elaborazione e di scrittura; le sceneggiature di film di successo vengono pubblicate in edizioni a larga diffusione; molti studenti di facoltà letterarie seguono corsi di scrittura cinematografica e alcuni di loro aspirano a fare questo mestiere.
La sceneggiatura, una "forma in movimento"
La sceneggiatura resta però ancora per il pubblico, e per una parte degli addetti ai lavori, un lavoro creativo un po' misterioso e soprattutto difficile da valutare. Nel cinema, infatti, a differenza che nel teatro, il destino di un copione è indissolubilmente legato all'interpretazione che il regista ne dà, in quell'unica messinscena che arriva sullo schermo.
A complicare le cose c'è oltretutto un dato congenito di ambiguità che rende la scrittura cinematografica un'attività in qualche modo 'spuria' e restìa a una precisa codificazione.
Nella sua raccolta di saggi Empirismo eretico, Pier Paolo Pasolini dedica un interessantissimo capitolo proprio alla sceneggiatura, definendola "una forma in movimento", "una forma dotata della volontà di diventare un'altra forma". E, più avanti, parla di "un processo […] di un puro e semplice dinamismo […] che si muove, senza partire e senza arrivare, da una struttura stilistica, quella della narrativa, a un'altra struttura stilistica, quella del cinema, e più profondamente da un sistema linguistico all'altro". Il grande scrittore e regista individua insomma l'aspetto 'transitorio' di questo genere di scrittura, un apparente ossimoro, che invece è la chiave per comprenderne il senso e metterne in luce la duplicità.
Una scrittura di frontiera
Potremmo parlare analogamente della sceneggiatura come di una 'scrittura di frontiera', dove si fa uso contemporaneamente di due lingue diverse. In pratica lo sceneggiatore scrive suggerendo una visione, trasformando continuamente il linguaggio letterario in linguaggio visivo. È una scrittura che ha nella 'visibilità' la sua qualità principale e nella 'azione' la sua specificità.
A questo proposito, Italo Calvino nelle sue Lezioni americane , guida preziosa per gli aspiranti scrittori, e indispensabile per gli sceneggiatori, parla di "cinema mentale" dell'immaginazione. "Questo cinema mentale – afferma - è sempre in funzione in tutti noi, - e lo è sempre stato, anche prima dell'invenzione del cinema - e non cessa mai di proiettare immagini alla nostra vita interiore".
Come si scrive una sceneggiatura
Detto questo, in cosa consiste praticamente questo lavoro? Da dove si parte e come si arriva materialmente a scrivere una sceneggiatura?
Adattare un romanzo, un'opera teatrale o una biografia vuol dire costruire una nuova struttura cinematografica a partire da un materiale narrativo già esistente. Si tratta di un lavoro complesso, nel quale l'apporto originale dello sceneggiatore consiste soprattutto nella costruzione di un nuovo impianto drammaturgico e nell'elaborazione delle scene e dei dialoghi.
Lo sceneggiatore, però, è spesso anche soggettista. La nascita e lo sviluppo di un'idea originale è uno dei momenti creativi più complessi e laboriosi della sua attività. Lo spunto di partenza è spesso solo un'impressione, una suggestione confusa. È come un graffio, una scalfittura su una materia inerte: da lì bisogna partire per scavare in profondità, per trovare una forma. Ma c'è un unico punto di equilibrio, un'architrave, che sostiene la storia ed è quello che va faticosamente individuato.
Il lungo cammino dall'idea al soggetto
A questo proposito è interessante notare come il racconto cinematografico abbia talvolta una lunga gestazione orale prima di essere fissato su carta o nella memoria di un computer. È, infatti, spesso il frutto di una collaborazione, di una lunga serie di riunioni tra diversi autori, che arrivano solo alla fine a una stesura comune.
In questo modo si arriva all'elaborazione del 'soggetto', un testo breve scritto in forma di racconto, che circolerà tra gli addetti ai lavori (produttori, funzionari televisivi, registi, sceneggiatori), un gruppo ristretto di vigili e smaliziati lettori.
Il soggetto può essere il punto di partenza del lavoro successivo che arriva alla produzione del film, o invece un punto morto, dove l'idea finirà per arenarsi. È insomma uno strumento fondamentale per valutare la consistenza, la 'densità' della storia che si intende raccontare, o più prosaicamente la sua commerciabilità.
Il filo rosso della drammaturgia
Fase fondamentale del lavoro successivo è l'elaborazione della cosiddetta 'scaletta', che, per usare una definizione di Vincenzo Cerami, è "la successione delle scene che costituisce il filo rosso della drammaturgia". È il momento in cui nasce lo stile della narrazione. Stabilito cioè il 'cosa' raccontare, bisogna individuare il 'come'.
In Italia si usa spesso far precedere alla scrittura della sceneggiatura una tappa intermedia, il 'trattamento'. È un testo in forma letteraria di un centinaio di pagine, che può essere definito il 'romanzo del film'. In questa fase si approfondiscono i caratteri dei personaggi, si impostano i dialoghi, si crea l'atmosfera della storia.
Superati questi ostacoli, la fase successiva, cioè la stesura vera e propria della sceneggiatura, può essere paradossalmente per un abile scrittore di cinema l'aspetto meno problematico del suo lavoro. È in qualche modo un processo di liberazione di energie creative accumulatesi nel corso di una lunga preparazione.
La lingua della 'visione'
Arriva dunque il momento di usare quella seconda lingua a disposizione dello sceneggiatore, la lingua della 'visione', di costruire cioè a partire dalla tessitura verbale quel 'continuo visivo', quella 'catena di immagini', che costituiscono l'opera cinematografica. Le parole, la sintassi, la stessa punteggiatura, perdono ora la loro autonomia esclusivamente letteraria, per conquistare un'altra funzione espressiva, un altro complesso valore estetico. È una 'scrittura in movimento' che ha già in sé il ritmo del film, così come uscirà dalle sale di montaggio e di edizione, e come gli spettatori lo vedranno nelle sale.
La sceneggiatura, il 'progetto esecutivo' del film
Insomma, ogni sceneggiatura è allo stesso tempo un'opera compiuta con un intrinseco valore estetico, ma anche la parte iniziale di un processo creativo e produttivo che avrà un suo compimento solo con la realizzazione finale dell'opera. Per usare una metafora del linguaggio architettonico, è anche e soprattutto il 'progetto esecutivo' del film.
Le cento pagine che in media costituiscono un copione sono, infatti, anche lo strumento sulla base del quale il produttore elabora il piano delle riprese e il preventivo finanziario. E sul set del film sono la guida indispensabile, oltre che per il regista e per gli attori, anche per i collaboratori tecnici e artistici (direttore della fotografia, scenografo, costumista, eccetera), che ne usufruiscono a seconda delle specifiche competenze.
Il viaggio di una sceneggiatura si conclude con il montaggio finale, quando l'opera compiuta, stampata su pellicola, prende definitivamente il posto del suo simulacro di carta.
In conclusione, esiste una 'ricetta' per scrivere un film? Io credo di no. I 'metodi', i manuali, possono servire al massimo come verifica a posteriori dell'efficacia drammaturgica di una sceneggiatura. Come afferma Age (nome d'arte di Agenore Incrocci), uno dei grandi sceneggiatori della commedia all'italiana: "È un bel lavoro il nostro. Che pochi insegnano e che molti credono di poter insegnare".
*Sceneggiatore ( Domani accadrà , Il portaborse , Le amiche del cuore , Barnabo delle montagne , Sud , Un eroe borghese ). Insegna Teoria e tecnica della sceneggiatura presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza
da: http://www.treccani.it/site/Scuola/Zoom/cinema_letteratura/pasquini.htm
Articolo pubblicato il 28/10/2005