RASSEGNA STAMPA sui CORTOMETRAGGI e sulla Cultura cinematografica di ogni tipo...

da: uns@uil.it
Cinema – TV - Una commissione per il Festival Nazionale del teatro - Formate le Nuove Commissioni Cinema
Nomi belli e brutti: chi rappresentano? Se stessi? Le produzioni? Non gli autori. L’avversione del Ministro Rutelli per i sindacati.

E’ stata nominata la commissione che dovrà istituire il Festival Nazionale del Teatro. Presieduta dal direttore generale per lo Spettacolo dal Vivo, Salvo Nastasi, esaminerà i progetti proposti dagli enti e dalle istituzioni. E’ composta da Maurizio Giammusso, Antonello Pischeddu e Pamela Villoresi. E dovrà concludere i lavori entro il 31 marzo 2007. Sono stati nominati i membri della commissione per il cinema per la sezione che dovrà selezionare i film di interesse culturale nazionale. Innanzitutto i due rappresentanti della Conferenza Stato Regioni e cioè Francesco Gesualdi e Oscar Iarussi e poi Rosita Marchese, Gian Pietro Brunetta, Enrico Magrelli. E nessun membro indicato dai sindacati degli autori di cinema né degli attori. E’ stata rinnovata anche la Giuria per l’attribuzione dei premi di qualità in ui si annuncia he faranno parte eminenti personalità quali Roberto Barzanti, Giuseppe Bertolucci, Caterina D’Amico, Antonio Monda e Maurizio Scaparro.
Anche in tale occasione i sindacati del settore, tra cui la UIL-UNSA che ha ottenuto nelle ultime elezioni SIAE per la sezione Cinema il 33% de voti degli autori cinematografici, non sono stati consultati.

La commissione della sezione per le opere prime, seconde e per i cortometraggi composta da Ludina Barzini, Mimmo Calopresti, Anselma dell’Olio, sono stati designati anche Massimo Bergami, per la promozione della cultura cinematografica in Italia e all’Estero Valerio Toniolo, Paolo Pietrangeli, Osvaldo de Santis, Carlo Degli Esposti. Per la sezione che determina l’ammissione ai benefici di legge e il riconoscimento dei film d’essai sono stati nominati Paolo Merenghetti, Marco Rossetti, e Natali Aspesi e Vito Zagarrio. La limitata sensibilità del Ministro Rutelli per le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ha avuto un esemplificazione quanto mai illuminante in occasione della istituzione del Centro per il Libro e la Lettura, dove nel Consiglio accanto a 6 editori ammise soltanto tre scrittori, e dove nel Comitato esecutivo ci fossero due editori e due librai e pretese che i sindacati degli autori presentassero una rosa di nomi tra cui scegliere un rappresentante degli autori-scrittori.

Ne consegue che le organizzazioni sindacali possono fin d’ora annunciare che nessuna garanzia di tutela delle opere degli autori e dei produttori potrà essere esercitata. Le Commissioni sono state istituite affidando l’incarico a persone diverse nominate per la loro individuale sensibilità. I componenti nominati nelle commissioni suddette risponderanno quindi del loro operato in ragione delle loro qualità personali e senza alcun obbligo di rappresentanza nei confronti degli autori né dei produttori. Cambia il Governo, cambiano i Ministri, ma i sistemi restano. E gli autori che dicono? Non sarebbe il caso di cominciare a proporre candidature che vengono segnalate dagli autori stessi, che vengano indicate dagli stessi produttori. La UIL – UNSA si dichiara disponibile a tentare tale necessaria opportunità e quindi richiede agli autori e ai produttori di segnalarci tale loro disponibilità. Rispondendo a queste due domande:

- quale autore cinematografico, regista, direttore musicale, direttore di fotografia ameresti che fosse in commissione?

- Quale produttore cinematografico, di audiovisivi, di programmi TV ameresti che fosse nominato in commissione?

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(Agi) - "Chiedo l'azzeramento per manifesta incapacita' di tutelare gli interessi dei minori e dei cittadini italiani della quarta sezione della Commissione di Revisione Cinematografica, che ha giudicato il film Apocalypto di Mel Gibson". Lo ha dichiarato il capogruppo dei Verdi in Commissione Cultura alla Camera Roberto Poletti annunciando una interrogazione parlamentare al ministro dei Beni Culturali, Francesco Rutelli. "E' inspiegabile, se non per una palese e sfacciata tutela delle lobby cinematografiche - spiega il deputato del Sole che ride - il motivo per cui un film come questo venga addirittura vietato ai minori di diciotto anni in Germania ed in Canada, mentre in Italia sia considerato 'un film per tutti' che avra' diritto, con tutti i benefici ed i vantaggi economici conseguenti, alla prima serata televisiva. Al ministro Rutelli - prosegue Poletti - chiedo di spiegare i motivi per cui la Commissione abbia mostrato il 'pugno di ferro' con altri film 'controcorrente', ma sicuramente non cruenti, mentre si sia improvvisamente ed inspiegabilmente ammorbidita sul film di Mel Gibson e se non sia il caso di provvedere ad una totale e radicale revisione della 'censura' che con questa ultima decisione ha veramente mostrato il suo lato piu' ridicolo".
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Il Messaggero - Mercoledì 03 Gennaio 2007
BIANCA ALL'AZZURRO
Girato quasi interamente nel quartiere di Monteverde, "Bianca" segnò per Nanni Moretti un ritorno al successo dopo la relativa delusione rappresentata dall'opera terza "Sogni d'oro", comunque Premio Speciale della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1981. Eppure la carriera era a rischio. Importante fu l'incontro tra Moretti e Achille Manzotti, produttore all'epoca supercommerciale per film con Renato Pozzetto e Ornella Muti, che però decise di produrre nel 1984 quello strano film d'arte la cui trama gialla, secondo lui, si capiva subito. Si sbagliò. La strana collaborazione tra la potenza produttiva di Achille Manzotti e il rigore espressivo di Nanni Moretti fece venire fuori forse l'opera ancora oggi più popolare e ricordata dell'autore romano. Una commedia stralunata che va avanti come un giallo e finisce come una tragedia.

ROSSELLINI PARTE SECONDA
Da oggi al 23 gennaio va in scena al cinema Trevi la seconda parte della mastodontica retrospettiva dedicata a Roberto Rossellini intitolata "Lo splendore del vero. Il mondo di Roberto Rossellini". La rassegna, curata dal Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca Nazionale e dal Comune di Roma Assessorato alle Politiche Culturali in collaborazione con Rai Teche, propone sia i capolavori iniziali come "Roma città aperta" (la rassegna non è in ordine cronologico), sia i lavori per la televisione degli anni '70 più una serie di interessanti documentari su Rossellini tra cui spicca quello che vede coinvolto lo sceneggiatore e critico cinematografico Giulio Macchi, intervistatore di Rossellini nel lontano 1964.
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Lettera di Fabrizio Rondolino a “La Stampa” - Leggo sulla Stampa del 31 che l’assessore alla Cultura del Piemonte si è così rivolto al presidente del Torino Film Festival: «Se si presenterà in Regione, lo farò cacciare dagli uscieri». La questione mi sta particolarmente a cuore perché il presidente è mio padre. In realtà, come tutti sanno, si è tentato un po’ maldestramente di esautorare Gianni Rondolino proprio per il motivo opposto, perché cioè si presentava assai di rado negli uffici dell’assessore Oliva. Ma questa è acqua passata. Mi chiedo però se un rappresentante del governo regionale possa minacciare pubblicamente un cittadino perché in disaccordo con lui e quali conseguenze politiche, civili e penali possa e debba avere un tale comportamento.
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Dagospia Lettera 4
Le chiacchiere da bar, alla fine si rivelano fondate.
Per esempio,che nel mondo dello spettacolo gli uomini per andare avanti devono compiacere agenti,e produttori gay e che le donne per farsi notare e per restare a galla sono pronte a soddisfare i politici,amici degli stessi agenti e produttori gay. Ed è tutto vero...
Ma in che puttanaio è naufragato il cinema italiano! Il sistema di "finocchiopoli" che tende ad autoproteggersi nel suo clima di omertà generando fiction pietose e spettacoli avvilenti. E mentre nell'Italia del calcio tutto è stato insabbiato grazie ad un Mondiale vinto,chissà che non ci arrivi un insperato Oscar,tanto per dimenticare che nei provini cinemetografici del Bel Paese si seleziona alla "pecorella".
Giacomo Pierleoni, Roma
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I FESTIVAL
- I festival del cinema: proliferano ma sono in crisi
I festival del cinema servono ai film, o i film servono ai festival? Sono un'utile vetrina per i prodotti cinematografici o sono loro stessi produttori di contenuti? Perché sono oggetto di una intensa proliferazione, pur essendo sempre più in crisi?
Sono alcune delle questioni discusse nel convegno organizzato dall'Afic (Associazione Festival Italiani del Cinema) dal titolo "La promozione del sistema cinema: il ruolo culturale dei festival" svoltosi oggi, 18 dicembre, alla Casa del Cinema. Hanno provato a rispondere - moderati da Giovanni Spagnoletti e Steve della Casa - il docente universitario e consigliere di Cinecittà Holding Severino Salvemini, Jonathan Davis della UK Film Council, Alain Modot del Media Consulting Group, il regista e consigliere dell'Istituto Luce Maurizio Sciarra, l'addetta stampa Flavia Schiavi, Piero Colussi di Cinemazero e Giuseppe Massaro di Media Desk/Anica.

E mentre tutti sono d'accordo nel ritenerli comunque indispensabili, resta il dubbio se i festival cinematografici, le loro selezioni e i loro premi, abbiano un effetto concreto sul destino delle opere che promuovono. "Gli eventi festivalieri legati al cinema hanno senz'altro una serie di ricadute positive, come i ricavi al botteghino, nel turismo e nella generazione di lavoro e reddito per il settore, l'aumento del gusto estetico degli spettatori e l'attrattività per i talenti creativi - ha spiegato Salvemini - Ma è difficile stabilire una relazione diretta tra i premi che assegnano ai film e la fortuna di questi in sala". Prendendo in esame i 5 maggiori eventi internazionali (Berlino, Cannes, Venezia, Toronto e Locarno) per il periodo dal 2000 al 2005, dalla ricerca di Salvemini emergono risultati contraddittori e di difficile lettura. Mentre il Festival di Cannes sembra essere il più efficace in assoluto, con 12 film premiati su 14 che hanno ottenuto incassi ragguardevoli al B.O., dei 6 riconoscimenti principali di Toronto solo 3 hanno ottenuto buoni o ottimi risultati, e i restanti 3 - gestiti tutti dallo stesso distributore - hanno avuto esiti trascurabili.

E' dunque il distributore l'attore decisivo in quella che spesso si trasforma in una guerra per accaparrarsi le migliori anteprime? Secondo l'analisi di Jonathan Davis è molto più determinante il ruolo dei sales agent, anche rispetto a quello dei grandi produttori, comunemente creduti molto influenti. "Dalle analisi incrociate sui film europei e la loro circolazione - ha sottolineato Davis - emerge poi come i festival, pur privilegiando spesso i film nazionali, siano uno strumento importante perché le opere vengano vendute e viste all'estero". Gli eventi medio-piccoli, invece, per rafforzare il loro ruolo culturale, devono puntare sull'identità e sulla ritualità, oltre che sull'unione delle forze in un network che li renda complessivamente più competitivi.
[di Mi. Gre.]
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DIVERSAMENTE ABILI. Eufemismo piccolo-borghese di alto valore solidale. «Un tempo si sarebbe detto poveri infelici».

BORAT. «Diciamoci la verità. Quel film è la nuova Corazzata Potëmkin. È proprio una ca..., boiata pazzesca». Non dirlo? basta pensarlo?

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Alessandra Comazzi per “La Stampa”
Dunque, caro Antonio Ricci, sarà l'anno della fiction?
«Non di quella in costume, credo: perché non ci possono mettere dentro la pubblicità. Mi ha molto colpito, nella serie Raccontami, la disinvoltura con cui fanno pubblicità occulta. La chiamano "funzionale alla narrazione", ma pensa tu. Siccome piacciono tanto le storie dei santi, li faranno moltiplicare, invece che i pani e i pesci, le merendine e il Tavernello... Anche nelle news, d'altronde, vengono propagandate idee, ideologie, personaggi, e pure oggettistica».

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ANDREIJ TARKOVSKIJ E ELISABETTA MARCHETTI VINCONO L'EDIZIONE 2006 DE "I CORTI DI SABAUDIA"

Andreij Tarkovaskij figlio del famoso regista russo ed Elisabetta Marchetti che firma come regista la prossima serie di RAI 1 " Un medico in famiglia" si sono aggiudicati l'edizione 2006 de " I Corti di Sabaudia" una iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale per il Cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Alla presenza dei cinque registi, Francesco Lattuada, Luca Verdone, Maria Teresa Elena, Andreij Tarkovskij, Elisabetta Marchetti e di tutti gli attori tra cui Rodolfo Corsato, Giampiero Ingrassia, Eleonora Pariante, Valentino Villa e Lavini
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S'intitola «Miss Ability» e ha conquistato l'Olanda. Presto in Usa e Gb il reality sulle ragazze disabili
Le partecipanti con «un handicap visibile» sfilano e raccontano le loro esperienze. I produttori: «Mostriamo il loro ottimismo»

La vincitrice di Miss Ability durante la premiazione
AMSTERDAM - All'apparenza potrebbe sembrare un normale concorso di bellezza dove a sfidarsi sono bellezze in costume da bagno: ma guardandolo da più vicino si scopre che si tratta dell'ultimo reality show olandese che ha come protagoniste delle ragazze disabili. ( ¦ Sul sito della trasmissione le schede delle concorrenti) Il format s'intitola «Miss Ability», va in onda in Olanda e nel 2006 e come riporta Times Online è stato uno dei programmi più visti nel paese pioniere dei reality.
PROGRAMMA - Ogni partecipante, recita il logo del programma, deve avere almeno «un handicap visibile ad occhio nudo»: dodici donne, incluse ragazze mutilate e in carrozzella vestono capi all'ultima moda e sono ospiti di alberghi da favola. Tutte partecipano a brevi cortometraggi nei quali raccontano la loro vita da disabili e come hanno superato tutti i problemi contro cui si sono scontrate nel corso dei loro anni. Alla fine, il pubblico, attraverso il voto televisivo, giudicherà non solo chi ha raccontato meglio la sua storia, ma anche chi si è dimostrata più forte e saggia nell'affrontare le traversie della vita. La vincitrice dell'edizione 2006 è una ventiduenne in carrozzella, Roos Prommenschenckel. A incoronarla è stato il primo ministro olandese Jan Peter Balkenende.

SUCCESSO - Il programma ha avuto un successo incredibile in Olanda (totalizzando il 25% di share) e i diritti del reality sono già stati comprati da alcune famose reti televisive straniere e nel 2007 sarà trasmesso in Gran Bretagna, Francia, Germania e Stati Uniti. Naturalmente il format ha provocato numerose reazioni negative e alcuni critici televisivi locali hanno accusato il programma di sfruttare l'immagine dei disabili per i propri fini commerciali.

CRITICHE - Di tutt'altro avviso sono i produttori di «Absolutely Independent», la casa di produzione che ha ideato il programma. Essi affermano che il format allo stesso tempo protegge l'immagine dei disabili e fa sentire queste persone completamente normali, infatti come tutti i protagonisti di un reality show possono essere amati o contestati. Così recita la reclame del format: «Non avete mai sentito un fischio contro una donna in carrozzella? Non avete mai ascoltato un buu verso una bambina cieca. Se la risposta è no, questo programma che rompe le barriere del moralismo e del politicamente corretto, vi mostrerà il modo per mettere fine a tutto questo». Secondo i produttori lo scopo del reality è mostrare l'ottimismo dei disabili: «Spesso i disabili sono considerati patetici e sono compatiti da tutti. Miss Ability invece mostra che i disabili, a differenza delle persone senza problemi fisici, sono sempre ottimiste. Essi cercano di superare le loro paure, pensano positivo e desiderano essere trattate come tutte le persone di questo mondo».
Francesco Tortora - 27 dicembre 2006
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Venerdì 29 Dicembre 2006 Il Messaggero
di SIMONA ANTONUCCI

Sta seduto tra gli scatoloni, nella sua nuova stanza da presidente dell’Auditorium. Ha tirato fuori solo una cornice con una foto scattata proprio nei giardini del Parco della Musica, più di dieci anni fa: «Era il ’94 - racconta Gianni Borgna che ha appena lasciato a Silvio Di Francia, dopo 13 anni, il timone dell’assessorato alla Cultura del Campidoglio - stavamo qui davanti con Cagli, anche allora presidente di Santa Cecilia, la Lanzillotta, in quegli anni assessore per le Politiche economiche, Mimmo Cecchini, che guidava l’Urbanistica, e gli orchestrali con tanto di tromboni. Eravamo venuti a piantare i primi alberi. Questi che oggi fanno ombra sulle finestre».
Appoggiati alle pareti dello studio, ex base operativa di Goffredo Bettini che da una settimana si è trasferito nei “container” (gli uffici temporanei della sua nuova Fondazione Cinema per Roma), un ritratto di Pasolini, un manifesto di Hitchcock, libri e faldoni con vecchi documenti: “La città della musica”... “Estate romana”... “Notte bianca”, “Progetti di storia”, rassegne stampa, un concentrato più nostalgico che operativo delle iniziative che hanno cambiato Roma, trasformandola in una capitale europea della cultura. «Ho lasciato tutto a Silvio, nella più assoluta continuità istituzionale».
Un vanto?
«Ho contribuito alla realizzazione dell’Auditorium. E stare qui mi fa un certo effetto. Ma è tutta “farina del mio sacco” la riorganizzazione dei musei comunali che prima vivacchiavano: erano più chiusi che aperti. Adesso le ore di visita superano quelle del British Museum e del Louvre. E ospitano mostre di respiro internazionale».
Un rimpianto?
«La Citta delle Scienze. Sono riuscito a ultimare la fase del progetto. Nel team avevamo Dulbecco. E Ruberti era un grande sostenitore del piano. Ma sono mancati i finanziamenti. Il costo dell’operazione sarebbe pari a quello dell’Auditorium: oggi in piena crisi finanziaria servirebbero i soldi dei privati. Ci ho sempre tenuto molto perché Roma non può essere capitale soltanto della cultura umanistica».
La nuova sfida?
«Tredici anni fa cominciai da zero. Entrai in un ufficio “terremotato”, dopo dieci mesi di commissariamento. Ora entro in un Auditorium che funziona a perfezione e devo mantenere il passo. Direi che è quasi più difficile. Il festival di Storia va a gonfie vele. A gennaio abbiamo il festival della Scienza, a marzo il festival della Matematica, a maggio quello della Filosofia, quello della Primavera... più tutto il resto».
Bettini alla Fondazione Cinema, Di Francia all’assessorato alla Cultura, lei a Musica per Roma: cosa risponde a chi vi accusa di essere sempre i soliti?
«Che bisogna partire dal merito e non dalle posizioni politiche».
I suoi rapporti con Fuortes, l’amministratore delegato dell’Auditorium?
«Una persona estremamente capace. Rara. E’ anche lui uno dei “soliti”: abbiamo già lavorato insieme al progetto dell’Azienda PalaExpo».
Roma è piena di contenitori, musei, case, ma chi si occupa di formare la nuova generazione di artisti?
«Nel passato Roma ha vissuto una grande vivacità artistica, ma le istituzioni latitavano. Ora la rete c’è, speriamo che stimoli una nuova ondata creativa».
Cosa trova sulla scrivania Di Francia?
«L’estate Romana che quest’anno dovrebbe essere disseminata in tutti in municipi. E il Capodanno in piazza. Anche quello lo abbiamo inventato noi».
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Venerdì 29 Dicembre 2006

CHAPLIN DAL VIVO
Ovvero la musica ispirata del Maestro Antonio Coppola, uno dei migliori e più noti esecutori di accompagnamenti musicali per film muti, come cornice per la proiezione de "Il monello" di Charlie Chaplin, capolavoro del 1921 in cui Chaplin utilizzò prima di altri un ingrediente cinematograficamente straordinario: i bambini. Il piccolo Jackie Coogan, che all'epoca aveva solo sette anni, divenne una star. Indimenticabili le sue avventure al fianco di Charlot in un'insolita veste paterna fortemente anticonvenzionale. Grazie a quel film Coogan riuscì ad ottenere già nel 1923 degli ingaggi economicamente strabilianti ma poi, inesorabilmente, la sua carriera subì uno stop. Negli anni futuri sarebbe stato ricordato come lo Zio Fester della serie tv anni '60 "La famiglia Addams".
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Venerdì 29 Dicembre 2006 Il Messaggero
UNA mezz’ora di auto in direzione sud da Roma basta per immergersi in un universo di straordinario interesse archeologico. A Palestrina, l’antica Praeneste, la sola visita del Museo archeologico di Palazzo Barberini vale il viaggio (con sosta impedibile davanti allo scenografico grande mosaico nilotico, una raffigurazione dell’Egitto del I secolo d.C. che rappresenta una delle più emozionanti testimonianze di arte alessandrina nel genere).
Poi ci si sposta nella vicina Zagarolo, dove si deve trovare il tempo per visitare, nella cornice suggestiva di Palazzo Rospigliosi, il Museo del Giocattolo, dove sono testimoniati con pezzi rarissimi gli ultimi cento anni di giochi per bambini, selezionati in modo da raccontarne il rapporto col mondo reale (auto, treni, oggetti d’arredo).
L’ultima sosta, per restare in tema di gioco – gioco goloso, in questo caso – è dal giovane e geniale Adriano Baldassarre, al Tordo Matto (Zagarolo – piazza San Martino 8, tel. 06.95200050 www.iltordomatto.com) . Troverete in ambiente curato e raccolto una cucina scintillante di idee e di provocazioni. Una per tutte? Il suo raviolo trasparente farcito di ostriche su Muscat, un capolavoro di equilibrio e godimento gustativo. Ma i tradizionalisti non si spaventino, perché gli spaghetti aglio e olio o l’agnello dello chef sono veramente da applauso.
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Intrattenimento
Il digitale la farà sempre più da padrone nei salotti delle nostre case. BitTorrent, la tecnologia che permette di scaricare film e musica da internet a velocità supersonica, sarà incorporato nei videoregistratori. Così potremo guardare film e serial pirata comodamente sdraiati sul divano. La Apple di Steve Jobs farà pace con la Apple casa discografica dei Beatles, e il catalogo completo delle canzoni dei Fab Four sarà pubblicato per un anno in esclusiva su iTunes. In questo clima di concordia e amicizia prolifereranno, grazie a YouTube, infiniti cloni della serie tv "Friends": brevi show, prevede "Wired", girati da amici che riprendono altri amici, ma non vengono guardati neanche dai loro amici.

Vita digitale
Il mondo reale sarà sempre meno distinguibile da quello virtuale. Una marachella apparentemente trascurabile su "Second Life" (verosimilmente un adulterio) darà luogo per la prima volta a un vero omicidio. "MySpace", la comunità digitale patrocinata da Rupert Murdoch, esaurirà lo spazio, cedendo sotto il peso di milioni di adolescenti che bramano il proprio angolo di web. "Digg", ultimo arrivato tra i network sociali, soppianterà "Friendster" nelle preferenze dei navigatori. Ma dovrà vedersela con un nuovo, temibile concorrente: la community dei maniaci (quelli di "Wired" la chiamano "PaedoSpace"), che farà proseliti anche nei palazzi del potere.

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Andrea Piersanti per “Il Giornale”

La televisione "collaborativa" del futuro impazza e "Time", come Tafazzi che si prende a bottigliate sull'inguine, cade nella trappola. Titola sulla nuova "democrazia digitale" quando invece si dovrebbe parlare ormai di "demagogia digitale". "YouTube", la tv fai da te, con migliaia di video prodotti dal pubblico, comprata per un miliardo e mezzo di dollari da Google; il "Venice project" degli inventori di "Skype" e "KaZaa" per una nuova tv "peer to peer" (condivisione di video fra gli utenti del web, come era stato fatto per la musica); l'esplosione dei blog (milioni di informazioni e commenti autoprodotti e visti da una coriandolizzazione di minicomunità di utenti); "Wikipedia", l'enciclopedia online con centinaia di migliaia di lemmi scritti da chiunque nel mondo e ormai piena zeppa di strafalcioni e di definizioni partigiane: sono questi i fenomeni che hanno indotto il settimanale "Time" a commettere un autolesionistico errore di valutazione.

Il consueto "personaggio dell'anno", infatti, questa volta è stato rappresentato da una copertina a specchio. Il titolo diceva: "Person of the Year: You". "Nel 2006 – ha scritto Lev Grossman su "Time" – il World Wide Web è diventato uno strumento per condividere i piccoli contribuiti di milioni di persone e farli diventare notizie". Una trappola pericolosa. Per anni il tema della deontologia dell'informazione (una specie di parolaccia che ci ricorda che la comunicazione è una cosa eticamente delicata) ha tenuto deste le coscienze. Il filosofo Karl Popper aveva proposto addirittura una patente per chi fa la tv. Adesso invece il dibattito è scomparso. È la vittoria definitiva del "relativismo".

In questa esplosione delle informazioni "peer to peer", letteralmente "pari fra pari", ogni opinione è valida di per sé stessa. Un fenomeno culturale e sociologico che è nato prima del web e che ormai è già rimbalzato fuori dalla rete ricadendo nella nostra vita di tutti i giorni. All'inizio furono i "talk show", programmi televisivi dove le chiacchiere dovevano dare spettacolo. Fu il primo approdo del relativismo di massa. Ognuno aveva ragione e ognuno poteva strillare le proprie sciocchezze. Bastava essere dotati di una qualche forma di appeal. Un insulto, una parrucca vistosa: ogni trucco andava bene. Poi la tecnologia ha aiutato la crescita del fenomeno.

Le dimensioni sono così macroscopiche che, mentre i masochistici giornalisti di "Time" si inchinano alla fine delle loro carriere, molti studiosi cominciano ad interrogarsi sul "trash digitale", la spazzatura del web di cui ormai sono pieni i nostri computer. Maldicenze, bugie, millantati crediti, finte indagini, scoop cretini si rincorrono ogni giorno dentro e fuori la rete (vogliamo parlare del video di Deaglio sui presunti brogli elettorali, per esempio?) creando leggende metropolitane al confronto delle quali la notizia degli alligatori albini nelle fogne di New York diventa una storia da premio Pulitzer. Qualche tempo fa, il ritratto del giornalismo televisivo del passato fatto da George Clooney nel suo film "Good Night, Good Luck" (la vera storia di Edward R. Murrow, l'anchorman della Cbs che sconfisse il sen. McCarthy) si chiudeva con questa citazione. "La televisione – disse Murrow ai suoi colleghi – può insegnare, può illuminare; sì, può anche ispirare. Ma può farlo solo a patto che gli uomini siano determinati a usarla per questi scopi. Altrimenti non è niente di più che cavi elettrici e luci dentro una scatola. Buona notte e buona fortuna".

Dagospia 29 Dicembre 2006
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IL VECCHIO GODARD

Ecco un cineasta che cambiò completamente la grammatica cinematografica. Tra la fine dei '50 e l'inizio dei '60 Jean-Luc Godard decise di rompere le regole: tagli violenti al montaggio, volontari scavalcamenti di campo, raccordi tra le inquadrature volutamente sbagliati. Fu come l'avvento del punk dei Sex Pistols contro la musica rock sofisticata dei Pink Floyd. Da quel momento il cinema non fu più lo stesso. La pellicola che iniziò la rivoluzione godardiana fu "A bout de Souffle - Fino all'ultimo respiro", storia di amanti criminali con un adrenalinico Jean Paul Belmondo, citato nella scena della morte dal Jeff Daniels de "Il calamaro e la balena", uno dei film più belli del 2006. Questo per far capire quanto un film del 1960 riesca a superare la barriera del tempo. Come fanno tutti i capolavori.

IL NUOVO CRIALESE

Uno dei pochi film italiani ad aver superato i due milioni di euro al botteghino. "Nuovomondo", terza fatica registica di Emanuele Crialese, è la storia di un viaggio tra sogno e realtà di una famiglia siciliana dei primi del '900 verso i tanto vagheggiati Stati Uniti d'America, dove i tacchini sono giganti e le carote mastodontiche. Ancora il tema del conflitto tra mito e moderno per l'autore di "Respiro". Unico peccato: il premio "speciale" vinto all'ultima Mostra del cinema di Venezia. Non era proprio possibile dare a "Nuovomondo" un'onorificenza contemplata nel palmares della manifestazione eliminando così la sensazione di una scelta forzata? A parte tutto, finalmente la carriera di Crialese, osannato in Francia per "Respiro", prende quota anche nel nostro paese grazie alle immagini potenti ed evocative di "Nuovomondo".

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UE, 2007 contro le discriminazioni sul lavoro
La Commissione europea lo ha dichiarato l'anno delle pari opportunità per tutti. Lancio ufficiale a Berlino il 30 gennaio per promuovere i diritti senza barriere di credo, razza, sesso o religione. In Italia più della metà dei lavoratori dice di aver subito, negli ultimi 5 anni, discriminazioni durante la ricerca di lavoro. Soprattutto donne, over 45 e al Nordest.
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http://miojob.repubblica.it di FEDERICO PACE

Piccoli sfavori o grandi discriminazioni. In un posto di lavoro se ne vedono di tutte le tipologie o gradazioni. E così, gli uffici o le fabbriche che potrebbero essere i luoghi dove le diversità si incontrano senza attriti, rischiano di divenire invece i posti dove la discriminazione svela la sua persistenza. Capita a chi cerca lavoro ma anche a chi il lavoro ce l’ha già. Illegali sono gli annunci con offerte di lavoro dove viene richiesta un’età specifica, così come le molestie e vittimizzazioni sul posto di lavoro e tutte le discriminazioni dirette e indirette. Ma i casi sono ancora molti.

Per questo la Commissione europea ha dichiarato il 2007 come l’anno delle pari opportunità per tutti. Il lancio ufficiale si terrà a Berlino il 30 gennaio prossimo. Obiettivi della Commissione sono quelli di promuovere i diritti e le opportunità per tutti, quale che sia il credo, la religione, l’età, l’etnia, la razza, la disabilità o l’orientamento sessuale.

Secondo una recente indagine di Kelly Service - multinazionale specializzata nel settore delle risorse umane - quattro lavoratori su dieci in Europa affermano di aver subito discriminazioni negli ultimi cinque anni durante la ricerca di lavoro. La ricerca ha coinvolto 70mila lavoratori di 28 paesi del mondo, di cui 6mila in Italia. Da noi, la quota di coloro che si sono sentiti discriminati sale molto oltre la media e arriva al 58%. In particolare, sono sopratutto le donne (il 62% rispetto al 53% degli uomini) intervistate ad affermare di essere state oggetto di un atteggiamento discriminatorio. L’elemento causa di principali discriminazioni è, ad ogni modo, l’età (vedi tabella). Quasi un terzo dei lavoratori ha sperimentato una discriminazione perché troppo avanti con gli anni o perché ancora troppo giovane. I più discriminati sono i lavoratori con un’età compresa tra 45 e 54 anni.

Scendono invece le percentuali se si guarda a un periodo di tempo più breve. Secondo i dati di Eurofound, nell’arco di soli dodici mesi, a subire discriminazioni sul posto di lavoro per motivi legati all’età, sono stati il 2,8% degli europei mentre l’8,5 per cento dice di aver subito delle intimidazioni e l’1,7 % ha subito discriminazioni di genere.

Il quadro normativo, a livello comunitario, è delineato da due direttive: la n.43 del 2000 ("the racial equality directive") e la n.78 del 2000 ("the employment equality directive"). Le due direttive invitano gli stati a definire norme nazionali che vietino ogni discriminazione razziale, etnica, credo o religiosa, d’età, o disabilità o orientamento sessuale. E fare in modo che i principi abbiano effettiva efficacia.

In Italia, per le discriminazioni razziali e etniche, è stato approvato il decreto legislativo n.215 del 9 luglio del 2003 (vedi testo) - attuativo delle direttiva n.43 del 2000-, poi emendato dal decreto legislativo n.256 del 2 agosto del 2004 (vedi testo). Per l’uguaglianza sul lavoro, si fa riferimento al decreto legislativo n.216 del 9 luglio del 2003 (vedi testo) che attua la direttiva n.78 del 2000 emendato dal decreto legislativo n.256 del 2 agosto 2004 (vedi testo).

Ma ad ogni modo però, le non vanno come dovrebbero. In Italia, più di uno su dieci (il 13%), secondo l’indagine di Kelly Service, ha subito una discriminazione di genere. In questo caso si dovrebbe parlare soprattutto di lavoratrici, visto che è successo al 19% delle donne rispetto al 5% degli uomini. In Europa, secondo i dati Eurostat, le donne hanno una retribuzione inferiore del 15% rispetto a quella quella dei loro pari grado uomini. Il 2,5% degli italiani dice di aver subito delle discriminazioni in ragione delle disabilità.

Quanto all’area geografica, la discriminazione si sente soprattutto nel Nordest, dove il 65,9% ha detto di essere stato discriminato, negli ultimi cinque anni, durante la ricerca di lavoro (vedi tabella). E’ il Nordovest invece l’area dove la percentuale è più bassa. I settori dove la ricerca di lavoro sembra più spesso ostacolata dall’attrito della discriminazione sono quelli della vendita al dettaglio, dei viaggi e tempo Libero, dei trasporti e della distribuzione e nel settore dei servizi di pubblica utilità. Le percentuali meno elevate si riscontrano invece nel’Information Technology e nelle imprese operanti nel settore chimico e farmaceutico.

Quanto alle discriminazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa, sono quattro su dieci a dire di avere subito sfavori. Anche qui a prevalere sono le donne (il 43% contro il 37%). Quanto all’area geografica la maglia nera spetta sempre l Nordest con il 51,8 per cento dei lavoratori contro il 34,4% del Nordovest e il 36,5% del Centro Italia.
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La faccenda dello striptease norvegese equiparato a arte è legata a una questione di tasse che il titolare di un locale non voleva pagare obiettando appunto che lui faceva arte, e la Cassazione locale gli ha dato ragione. Raccontarla la storia in qualche contesto magari è utile. Rifletterci, su altre cose, è anche meglio.
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SE PER GUARDARE L'ORRORE BASTA UN CLIC
Maria Laura Rodotà per il “Corriere della Sera”
Cliccare, non cliccare. Se lo sono chiesto in tanti. In tanti hanno cliccato e guardato, magari chiedendosi se lo facevano per capire cosa è successo, come sono stati e che conseguenze potranno avere quegli scambi tra Saddam Hussein e i suoi boia sciiti; o se il loro era, anche, voyeurismo dell'orrore. Se lo sono chiesto, sul secondo video dell'esecuzione, tutti i responsabili dei network televisivi. E chi l'ha trasmesso, dice Jon Klein della Cnn, l'ha fatto perché «era un microcosmo dei vari contrasti nella società irachena in questo momento». Lo era, ma per vederlo non c'è più bisogno dei grandi network. È ovunque su Internet, si diceva, a un clic di distanza.

Ed è sempre più difficile essere moralisti, poi. O agire da moralisti: tra milioni di siti e blog tutti i codici deontologici sono saltati; e il problema — per chi ha ancora un codice — diventa come dare certe notizie e immagini in modo civile e dignitoso. È difficile fare distinzioni, anche: come si fa a dire che era «buono» (lo fece in Italia, su carta, presa dal Web, il Foglio) mostrare la testa mozzata da terroristi islamici del giornalista americano Daniel Pearl ed è «cattivo» rendere disponibili le immagini dell'esecuzione del dittatore Saddam, se si è contrari alla pena di morte? Tutte le persone uccise, tutti i corpi dei morti hanno diritto al rispetto. Ma a volte a volerli mostrare è stato chi li rispettava. È successo, in Italia, per il cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse, e per quello di Pier Paolo Pasolini, chi vide le foto del corpo martoriato ebbe difficoltà ad accettare la tesi secondo cui era stato ucciso da una sola persona in un breve raptus. E oggi sul Web si vedrebbe assai di più.

Perché il luogo comune è vero: Internet è la piazza del villaggio globale, ormai. Una piazza dove si fa tutto quello che si faceva un tempo: ci si incontra, si commercia, si amoreggia, si fa politica, ci si informa, si assiste alle esecuzioni. Certo, la piazza è malcontrollabile e può diventare pericolosa. E come nel Medioevo, alle esecuzioni ci si può abituare; modernamente, si può diventare sempre meno sensibili e guardare la gente che muore come fosse un videogame. Per questo, nell'era di Internet più che mai, ci sono le immagini ma le parole sono importanti. Quelle di tutti, su Internet possono scrivere tutti. Anche se parlare di certe cose fa più paura e fatica che guardarle, se si è sensibili, a pensarci.
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Andrea Guerra: «Lo ammiro anche se gli sono antipatico» di Michele Anselmi

«Un premio sacrosanto, l'Oscar a Morricone. Dovevano darglielo da anni. Evidentemente all'Academy s'erano distratti». Ancora scombussolato dal jet lag, Andrea Guerra risponde al telefono dal residence di Santa Monica. È lì per il lancio di The pursuit of happyness, il film di Gabriele Muccino con Will Smith che esce proprio oggi. Sua la colonna sonora. Classe 1961, figlio di Tonino Guerra, nel giro di tre quattro anni Andrea è diventato il compositore di musica da film più gettonato d'Italia. Qualche titolo? Prendimi l'anima di Faenza, Tu la conosci Claudia? di Aldo, Giovanni e Giacomo, Le fate ignoranti e La finestra di fronte di Ozpetek. Un exploit che l'ha proiettato a Hollywood, candidato per i Golden Globes grazie alla canzone Million voices, da Hotel Rwanda. Alla Sony l'hanno subito notato, poche settimane dopo era sotto contratto.
«Un sogno. Solo per le musiche mi hanno messo a disposizione un budget da quasi 3 milioni di dollari. L'intero costo di un medio film italiano».

Su Morricone fa una premessa. «Non so perché, ma ho la sensazione di stargli antipatico. Credo che Ennio non sia convinto del mio lavoro. Mi dispiace, io lo ammiro molto». Infatti confessa che il tema di Nuovo cinema Paradiso è uno dei tre che «più amo in assoluto, insieme a Schindler's List di John Williams e I girasoli di Henry Mancini. Tre capolavori». Guerra giudica «un'invenzione pura, per timbro e melodia», il leit-motiv di
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, mentre lo lasciano più freddo le musiche create per Leone. In ogni caso: «Sono veramente felice per lui. Mai Oscar alla carriera fu più meritato. Intendiamoci, dovevano darglielo anche per Mission, tanto per fare un titolo finito in cinquina. Ma vincere è il risultato di tanti fattori. A Sanremo mica trionfa sempre il più bravo. Poi è difficile farcela se non sei dentro un film americano. Sa che le dico? Spesso è più bello il viaggio della meta».
Del resto, Morricone non ha nessuna voglia di andare in pensione nonostante la statuetta alla carriera. «Ci mancherebbe. Sta sempre lì con la matita in mano, compone più musica oggi che da giovane», scherza il giovane collega. «Trecento e passa colonne sonore: un opus impressionante. Morricone è un maestro. Lui sa che dal tema si intuisce lo sviluppo emotivo del film. Il che è un vantaggio che io, personalmente, preferisco non
dare sempre allo spettatore. Naturalmente gli auguro d'essere in lizza l'anno prossimo con un film, non mancheranno le occasioni». Intanto potrebbe succedere a lui. La Sony punta molto su The pursuit of happyness. «Faccio gli scongiuri. Ci ho lavorato sei mesi. Ho elaborato quattro temi, provando a dare un senso quasi neorealistico alla storia, che poi è il racconto di un Sogno americano». Già al lavoro su un altro film americano, Reservation Road con Jennifer Connelly e Joachim Phoenix, Guerra non ha dimenticato l'Italia. Sua infatti la colonna sonora di Olé, anche se, dice sorridendo, «preferirei soprassedere sul tema».
da www.ilgiornale.it
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Lizzani: «La sinistra ha ottime idee sulle quali riesce a farsi la guerra» di Michele Anselmi
Brutta storia, tutta interna alla sinistra, quella del festival di Torino. Lo sa bene Carlo Lizzani, 84 anni, regista, storico di cinema, già direttore della Mostra di Venezia nonché ex presidente del Comitato scientifico del Museo del cinema torinese. Ha letto Gramellini su La Stampa? «Tutti i protagonisti della penosa vicenda sono ex comunisti che dell'antica fede hanno conservato lo spirito di clan e una visione micragnosa e autolesionista
dell'esistenza». Concorda?
«Non conosco la vicenda nei dettagli. Mi riesce difficile prendere partito. Però vedo reazioni eccessive. D'istinto inviterei i due fronti a far pace. Ma temo che non sarà facile. Noi di sinistra spesso abbiamo ottime idee nel campo dell'organizzazione culturale. Poi però ci dividiamo e ci si ritrova nemici, l'uno contro l'altro armato».
Mandi un messaggio ai contendenti, se le va. «Ci provo. A Nanni dico: ti capisco, ma ripensaci. A Rondolino, che conosco e stimo: cerca di collaborare, non isolarti. A Barbera: non dimetterti dalla direzione del Museo. A Chiamparino: hai ragione ad essere duro, ma non attizzare le polveri». Teme l'effetto Tafazzi? «Un po' sì. Prenda Moretti. Non giudico il comportamento, ma è noto il suo carattere non facile, schivo. È
uomo di battaglia, non si sottrae alle sfide, però gli piace stare tra amici. Magari l'idea di ritrovarsi dentro un conflitto locale, tra rancori personali e contrasti procedurali, l'avrà indotto a ripensarci. Eppure, per esperienza personale, gli suggerisco: “Avanti, coraggio”. Perché l'identità del festival di
Torino si sposa bene con la sua idea di cinema».

Insomma, secondo lei doveva resistere. Tra l'altro aveva tutti dalla sua parte, a parte Rondolino, il manifesto e i due ex direttori. «Già. Anch'io, quando fui nominato direttore a Venezia, nel 1979, dovetti fare i conti con grovigli, diffidenze, nostalgie, risentimenti. C'è carattere e carattere... A volte basta un'ombra per cambiare idea». Moretti parla appunto di ombra che non lo farebbe «lavorare con gioia ed entusiasmo». «Non si può piacere a tutti, proprio a tutti. Nanni non è uomo da farsi strumento dei politici per soffocare l'indipendenza del festival. Se qualcuno lo scrive, amen. Doveva andare avanti lo stesso. A meno che non temesse, in una logica di conflitto sotterraneo, di diventare il braccio armato di qualcuno. Allora era meglio dirlo subito».
Forse pensava che il carisma del suo nome avrebbe messo a tacere le chiacchiere e «i rancori personali». «Guardi, io non conosco la natura di questi rancori. Però so che grandi conflitti sono possibili. Tra storici dell'arte, critici di cinema, filosofi. Pensi solo allo scontro tra Croce e Gentile. A volte questi conflitti si trasformano in forme di parricidio. È nella logica dei circoli intellettuali». Rondolino non ci sta a farsi «uccidere» simbolicamente da Barbera e Della Casa. E anzi si erge a difensore del festival contro «l'ingerenza della politica». «Bah! Sappiamo tutti che la cultura, oggi in Italia, ha un problema di risorse. Ingenuo pensare che la politica non debba e non possa partecipare al dibattito. Dico a Rondolino che non c'è niente di male a confrontarsi con la logica e le richieste degli amministratori. Il mio arrivo a Venezia fu il frutto di un accordo tra la Dc e il Pci, dopo la tempesta della contestazione e il commissariamento. Nondimeno, mi sentii libero di rifare il festival come volevo».
E a Torino come s'è trovato? «Bene. Sono rimasto un anno a lavorare per il Museo. Ebbi l'impressione di essere gradito all'intellighenzia cinematografica torinese. Ma il festival è un'altra cosa. Rondolino lo considera una propria creatura. E questo può suscitare gelosie». Bellocchio consiglia ai registi ancora in attività di pensarci bene prima di dirigere un festival. «In effetti, un regista direttore di festival è una trovata tutta italiana. Con me ha funzionato, con Pontecorvo pure.
Però è vero: all'estero i festival sono diretti da operatori culturali di provata esperienza, che fanno solo quel mestiere, per tutto l'anno. Da noi, invece, piace il nome squillante, si pensa che un cineasta possa portare qualcosa in più sul piano della confezione. D'altro canto, Moretti è un inventore di iniziative, un imprenditore di se stesso. Il matrimonio con Torino sembrava perfetto. Forse, ripeto, il riflesso è psicologico: non si è sentito tranquillo, coperto, protetto, ha temuto di estenuarsi nei rapporti con la politica. Ha visto profilarsi un lavoro doppio del previsto».
Pare che a Roma e Venezia abbiano stappato lo champagne dopo il gran rifiuto di Moretti. «Se l'hanno fatto, è una sciocchezza. Ma continuo a pensare che tre festival internazionali in tre mesi siano troppi. Uno spreco, un'esagerazione».
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Censura, regole vecchie di 45 anni di Michele Anselmi
Alla Eagle, che distribuisce Apocalypto, gongolano. Tutta promozione insperata, pure gratis. Se ne deve essere accorto anche Rutelli, il quale adesso auspica: «È bene che giudichi il pubblico. Abbiamo fatto sin troppa pubblicità al film». Naturalmente, il ministro, con piglio decisionista, annuncia cambiamenti in materia di censura - anzi revisione - cinematografica. «Ho convocato per lunedì una riunione per rivedere le norme sulle autorizzazioni dei film, che sono vecchie di 45 anni. Oggi le scene di violenza arrivano anche dalla tv, dai videogiochi, dai cartoni animati. Occorrono regole nuove». Fino a maggio però, sempre che Rutelli non vari d'urgenza un decreto legge, restano operative le commissioni nominate dal precedente governo. Otto, composte da nove membri ciascuna, il che significa settantadue persone, tra «esperti di cultura cinematografica», «docenti di psicologia», «rappresentanti di categoria, dei genitori e degli animalisti». A scorrere i nomi, non mancano le sorprese: nella quinta, per esempio, in qualità di cine-esperto, resiste il deputato udc Francesco Pionati, nella terza l'attrice Clarissa Burt, nella seconda Solvi Stubing, che fu mitica testimonial di una birra. In questo tipo di commissioni, si sa, le persone vanno e vengono, in base allo spoyl-system. Il problema è: per fare cosa? Rutelli forse non sa, ma in materia di «tutela dei minori» il suo predecessore Urbani provò a fare qualcosa, fuori dalla contingenza legata a un film troppo audace o violento, senza atteggiamenti moralistici. Peccato che poi tutto si fermò, magari per il timore di evocare nuove strette censorie, seppure sotto forma di legittimi interventi in difesa dei minori. Vero è che il progetto di riforma Urbani al quale si dedicò il tecnico Mario Torsello prevedeva l'attivazione del danno morale, con conseguente rimborso civile. Insomma, l'esercente come terminale della catena: a lui spetterebbe il compito di difendere il «rating» (la classificazione dei film),
e se non lo fa, paga. Naturalmente bisogna decidere: una volta abolito l'anacronistico «visto di censura», senza il quale oggi un film non può uscire, chi deciderà se una pellicola può essere per tutti o no? Le attuali commissioni di revisione non sembrano funzionare, divise come sono tra il ruolo soverchiante assunto dalle associazioni dei genitori, pronte a esercitare su alcuni temi caldi il diritto di veto, e gli evidenti interessi dei produttori, pronti a (quasi) tutto pur di evitare il divieto ai minori di 14 anni che li penalizza per la Tv. Prendendo a modello il sistema americano con i suoi cinque livelli, l'ex ministro lavorò a varie ipotesi di classificazione: un primo sbarramento a 8 anni e un secondo a 12, con o senza la presenza dei genitori, abolizione del divieto ai minori di 18 anni con abbassamento a 16. Rutelli si muoverà su queste linee? Di sicuro ci sarà da ritoccare i compensi dei «revisori» (lo psichiatra Paolo Crepet, anni fa, fu campione di assenteismo) ed evitare che questa o quella commissione sia percepita come più duttile. Certo, l'Italia resta uno dei paesi più permissivi del mondo. Tanto che lo Marco Giusti, teorico dello stracult, riconosce: «Parlo da padre. Dagli 8 ai 12 anni serve molta attenzione. I nostri figli sono fragili».

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Rutelli assolda i critici «amici» di Massimiliano Lussana
Il vero scandalo l’abbiamo sempre denunciato. Ed è il fatto che vengano finanziati con i fondi pubblici film inguardabili, roba in grado di far addormentare in sala anche i cinefili più incalliti. Del resto, basta assistere a una proiezione riservata alla stampa in un festival del cinema, per imbattersi in russatori dal volume più alto di quello della pellicola. Se possibile, poi, in questo momento, lo scandalo è acuito dal fatto che si finanziano con fondi pubblici film inguardabili in grado di far addormentare anche i cinefili più incalliti, nel momento in cui si mettono più tasse per tutti e si fanno pagare ticket su qualsiasi tema dello scibile umano. Se possibile, poi, ora e sempre, lo scandalo è ulteriormente acuito dal fatto che alcuni di quei film hanno totalizzato nelle sale un numero di spettatori inferiore a quello del numero dei membri della commissione giudicatrice. E, purtroppo, non è una battuta o un paradosso. Parlano i tabulati ufficiali, dati Siae alla mano. In questo quadro, è chiaro che la nomina di un gruppo di giornalisti, registi e cinematografari nelle commissioni che distribuiscono fondi per il cinema, non è uno scandalo. Anzi, se ci mettono gente che capisce di cinema, potrebbe anche non essere un male. Addirittura, se ci mettono i russatori di cui sopra, si spera che gli stessi facciano un filo più di attenzione nel dare soldi a pioggia a film destinati poi a farli dormire, con effetti migliori della melatonina. Però, c’è un però. Fra i distributori di finanziamenti pubblici nominati dal ministero dei Beni Culturali guidato da Francesco Rutelli - come racconta il nostro Michele Anselmi, che su questa storia delle commissioni è una specie di bibbia che cammina, quasi malato dell’insana passione di sapere in anteprima i nomi dei componenti delle stesse - spiccano molti giornalisti: da Anselma Dell’Olio in Ferrara a Ludina Barzini. Su, su fino a Paolo Mereghetti e, soprattutto, a Natalia Aspesi. Cioè l’icona della critica cinematografica fin da quando si ha memoria dell’esistenza della critica cinematografica, dai tempi dei fratelli Lumière, di Lietta Tornabuoni o giù di lì. Anche in questo caso, nessuno scandalo. Certo, la Aspesi - che è una che si fa leggere anche volentieri - è
capace di spruzzare di antiberlusconismo anche la recensione di Olé o di trovare reconditi afflati filopadoaschioppeschi persino nell’ultima produzione della Cina interna. Ma, in fondo, sono problemi suoi. E, del resto, non so se siano un problema più grave gli afflati filopadoaschioppeschi o i film della Cina interna. Però, resta un dubbio. È normale che i critici cinematografici tuttora in servizio permanente effettivo siano chiamati a dare fondi a film che poi dovranno recensire o che poi dovranno recensire i loro colleghi di scrivania? In un Paese dove si grida in continuazione ai conflitti di interesse, non è un conflittino anche questo? L’ordine dei giornalisti, sempre molto attento ai tabulati telefonici o alle partecipazioni pubblicitarie dei suoi iscritti, non ha niente da dire? Più che ordine, regna il disordine.

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Il Messaggero Sabato 13 Gennaio 2007
GLORIA SATTA dal nostro inviato

PARIGI - Il morale? E’ alle stelle. Pazienza se la polemica per la vendita del marchio “Louvre” agli Emirati sta scuotendo la Francia. C’è il cinema a tenere alto l’orgoglio del Paese. E sul cinema non si discute, visti i risultati: 190 milioni di spettatori registrati nel 2006, una quota di mercato del 44 per cento con sette film nazionali tra i primi dieci incassi, un export sempre più agguerrito, 623 nuove pellicole in preparazione o pronte a sbarcare nelle sale. «L’industria francese è in ottima salute», esulta il ministro della Cultura, Renaud Donnedieu de Vabres. «Certo, il merito è del talento di autori, attori, imprenditori. Ma anche il risultato degli sforzi che il governo fa per sostenere il cinema e difendere la molteplicità delle sue espressioni. La diversità è alla base della libertà».
Applausi accolgono le parole del ministro all’apertura del Rendez-vous internazionale organizzato come ogni anno a Parigi da Unifrance, che promuove il cinema francese nel mondo con molti quattrini e ancora più grinta. Non paghi di aver piantato la bandiera in Cina (dove dei 20 film stranieri ammessi ogni anno, 10 vengono da Parigi) i francesi sbarcano ora in Vietnam, contrastano in Giappone il calo dell’export (colpa dei fortissimi coreani), rinforzano le posizioni in Messico, Québec, Ungheria e si preparano a espugnare l’India, «l’unico Paese del Pianeta in cui non dovremo scontrarci con la concorrenza americana», spiega Margaret Menegoz, la celebre produttrice presidente di Unifrance. «Nel 2006 abbiamo avuto 60 milioni di spettatori nel mondo. Quest’anno ci aspettiamo di fare ancora meglio con i nuovi meravigliosi film...».
E’ dunque all’insegna della grandeur e dell’evento annunciato il futuro prossimo del cinema francese. Attualmente sta sbancando i botteghini (36 milioni in quattro settimane) Arthur e il popolo dei Minimei, il film metà “live” e metà animato in 3D di Luc Besson. Ma l’ansia per l’uscita di Le mome, cinebiografia del mito Edith Piaf interpretata da Marion Cotillard, si tocca con mano. Per non parlare di Mathieu Kassovitz, atteso come il Messia con la sua nuova impresa Babylon A. D, un kolossal futuribile-catastrofico. E di Régis Wargnier, che torna con Pars vite et reviens tard. Girano film i mostri sacri (Rivette, Blier, Chabrol, Corneau, Berri, Robbe-Grillet, Annaud, Techiné, Chéreau) e i più giovani (Klapisch, Chatillez, Marchal...). Non conosce requie lo star system, dall’immarcescibile Deneuve alla nuova bionda nazionale Isabelle Carré, dal mitico Auteuil al torbido Cassel, dalle solite Binoche, Béart, Bonnaire e Tatou e Wilson.
Si moltiplicano i debutti chic: Jane Birkin ha diretto un film su se stessa, Boxes; Paul Auster è regista di The inner life of Martin Frost, da un suo libro. Fa invece il bis Sophie Marceau con Trivial, osando il thriller. E ci riprova Valeria Bruni Tedeschi con Actrice, gioie e dolori della vita sotto i riflettori. La tentazione kolossal sfornerà poi un’ennesima versione di Fantomas con Jean Réno, Asterix alle Olimpiadi con Delon-Giulio Cesare, un Molière con Roman Duris e Laura Morante, Vivaldi con Stefano Dionisi. Mentre il giovane guru François Ozon si avventura con Angel nell’Inghilterra del primo Novecento.
La maggior parte di questi film arriveranno anche in Italia, che il cinema dei “cugini” l’ha sempre amato. L’altr’anno, con 36 pellicole importate, sul piano della francofilia ci siamo fatti scavalcare però da Germania e Spagna. «Forse perché da voi è sempre più difficile vendere film alle tv», riflette Loic Trocmé, il presidente degli esportatori. Per i fan delle statistiche, la commedia prevale anche in Francia: ce ne sono 86 in gestazione e Le bronzés 3 ha avuto più di dieci milioni di spettatori. E malgrado il sostegno della critica e il passaparola del pubblico, incassano sempre meno i film d’autore: le sale li smontano presto, la promozione tv li snobba, le grandi distribuzioni li emarginano. Anche nella patria dei Lumière, per la cinefilia sono tempi duri.

Sabato 13 Gennaio 2007
ROMA - E l’Italia come va? Nel 2006, secondo i dati Cinetel, sono stati venduti 92,2 milioni di biglietti: rispetto al 2005, è un aumento dell’1,65 per cento. Ma a dicembre, periodo caldissimo per gli incassi, le cose sono andate peggio del solito: gli spettatori sono calati del 9,07 per cento, e del del 5,39 per cento nel periodo tra Natale e la Befana. Piccola consolazione, rilevata dal ”Giornale dello Spettacolo”: dai 22,5 milioni di biglietti venduti nel 2005, l’anno scorso siamo passati a 23 milioni, pari al 25 per cento del totale. Siamo ben lontani dalla Francia, che con la quota di mercato del 44 per cento quasi raggiunge il 45,8 per cento degli americani.
Secondo l’industria, le condizioni sfavorevoli al mercato italiano sarebbero il blocco (”desertificazione” nel gergo del cinema) delle uscite estive, il mancato rispetto dell’uscita in contemporanea mondiale dei film, la pirateria sia sulla strada sia su internet, la concorrenza dei nuovi canali tv che trasmettono film. L’anno scorso è andata bene in Germania (+7,9 biglietti venduti), mentre la Spagna ha avuto un calo del 2,2 per cento e la Gran Bretagna si è mantenuta stabile.
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L’APOCALISSE DI COPPOLA
Francis Ford Coppola, ormai sempre più lontano dal cinema e impegnato nella sua produzione di vini, sta pensando di tirar fuori dagli scaffali una versione di “Apocalypse Now” di quattro ore e quarantanove minuti riesumando del materiale mai visto prima a soli cinque anni dalla splendida versione di tre ore e ventidue minuti intitolata “Apocalypse Now Redux”. Ha ancora senso, a questo punto, vedere la versione originale da due ore e trentatre minuti che vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 1979? Certamente sì. Il ritmo è più incalzante e il cuore del film pulsa che è una meraviglia. La guerra del Vietnam attraverso le immagini dai colori fiammeggianti di Vittorio Storaro e le note rock dei Doors e Rolling Stones. Insieme a “Orizzonti di gloria” di Stanley Kubrick forse è ancora oggi il più grande film di guerra mai realizzato.
“Apocalypse Now” di F. F. Coppola, ore 21. Associazione Culturale Video Ambiente

SESSO, DROGA E ROCK’N’ ROLL
Grazie al Cineclub Detour abbiamo la possibilità di vedere film che altrimenti non arriverebbero mai nella nostra città. E’ accaduto in passato e continua ad accadere nel presente. E’ il caso dello scioccante documentario “DiG!” che racconta per filo e per segno la storia di amore, odio e scazzottate senza pietà tra i due gruppi musicali “Brian Jonestown Massacre” e “Dandy Warhols” nelle persone dei due leader Anton Newcombe e Courtney Taylor. Altro che la rivalità, peraltro costruita dai media, tra Beatles e Rolling Stones. Tra queste due band è successo di tutto: arresti, risse sanguinolente e minacce di morte. “DiG!” di Ondi Timoner, che ha montato più di dieci ore di materiale filmato, racconta la storia di questo contrasto violento. Vincitore del Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival del 2004.
“DiG!” di O. Timoner, ore 21.30. Cineclub Detour

Milos Forman è stato protagonista del primo appuntamento di “Viaggio nel cinema americano”, a cura di Antonio Monda e Mario Sesti, all’Auditorium del Parco della Musica di Roma. Il regista ha parlato di sé, degli inizi e degli Oscar vinti, mentre sullo schermo scorrevano immagini dei suoi film. «Avrei dovuto girare - ha raccontato - “Qualcuno volò sul nido del cuculo” molti anni prima. Me lo aveva proposto Kirk Douglas, ma allora vivevo in Cecoslovacchia e la polizia intercettò il testo che Douglas mi aveva mandato...Lo scoprimmo solo 20 anni dopo». E ancora: «È Vittorio De Sica uno dei miei registi preferiti. Trovo che “Miracolo a Milano” sia un film indimenticabile».

NON SOLO CINEMA Una guerra vera e dimenticata
nel 'Viaggio in Darfur' di Clooney
Il documentario è stato realizzato dall'attore insieme al padre Nick lo scorso aprile in Ciad e Darfur. Verrà trasmesso lunedì 15 dall'emittente tv American Life. Washington, 12 gennaio 2007 - Il documentario "Un viaggio in Darfur", girato dall'attore americano George Clooney e dal padre Nick durante il loro viaggio nella regione sudanese, verrà trasmesso lunedì 15 gennaio dall'emittente tv AmericanLife.

Due giorni fa, durante l'anteprima riservata ad alcuni membri del Congresso Usa, i Clooney hanno espresso la loro preoccupazione per il fatto che il governo Usa non stia facendo abbastanza per fermare quello che la star hollywoodiana ha definito il primo genocidio del XXI secolo. "Ricorderò per sempre come la gente lì rimanga ottimista, nonostante sia sospesa a un filo sottile e possa morire facilmente", ha detto George Clooney, sottolineando al contrario il suo pessimismo su una risoluzione a breve termine della crisi. In un'intervista all'Associated Press, Nick Clooney, giornalista, ha raccontato che l'idea del viaggio e del documentario è nata commentando con il figlio le notizie apparse sulla stampa sul Darfur.
"Non riuscivamo a capire perché questa vicenda non finisse sulle prime pagine. Cercavamo di trovare il modo per far in modo che ci finissero - ha raccontato il giornalista - ovviamente George ha la sua carta da giocare, la sua enorme fama, quindi mi ha detto, 'papà, perchè non andiamo lì?'".

Padre e figlio hanno visitato il Darfur lo scorso aprile, accompagnati da un fotografo e da un altro loro congiunto. A bordo di un piccolo aereo, hanno raggiunto un villaggio al confine del Darfur, dove hanno raccolto le storie degli sfollati.
Il conflitto scoppiato nel febbraio 2003 tra il gioverno di Khartoum e i ribelli ha causato finora oltre 2 milioni di sfollati. I Clooney hanno poi raggiunto un campo profughi nel vicino Ciad e hanno raccolto altre testimonianze dei sopravvissuti alle violenze compiute in questi ultimi quattro anni.
Nick Clooney ha raccontato all'Ap di essere rimasto molto impressionato dalla storia di una donna, costretta a fuggire con i tre figli dal suo villaggio durante un attacco delle milizie arabe filogovernative dei Janjaweed. Dal giorno della fuga, la donna non ha più notizie di uno dei figli, di soli sei anni.

"Dovunque andavano c'erano camion di bambini armati di AK-47", ha ricordato il giornalista. Rientrati dal viaggio, padre e figlio hanno avviato una vasta campagna a sostegno di una risoluzione del conflitto nella regione sudanese."Il Darfur non ha mai preso il posto di Iraq e Afghanistan nei notiziari - ha concluso Nick Clooney - vorrei che se ne discutesse nelle circoscrizioni elettorali degli uomini politici, in modo che entri a far parte delle loro agende".

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DOPO IL CINEMA, ROMA VELTRONA LANCIA LA SUA FIERA DELL'ARTE E SCIPPA IDEE E ORGANIZZATORI A TORINO E BOLOGNA. ORA ALLEATE CONTRO LA CAPITALE RUBONA: “SE ROMA VUOLE CRESCERE, FACCIA CRESCERE I SUOI UOMINI”… Alessandra Mammì per “L’espresso”

Né falsi né cortesi, ma diretti, irritabili e burrascosi. Mai fidarsi dei vecchi proverbi perché le più belle risse cultural-politiche arrivano tutte da Torino. Non solo per il festival del cinema, ma anche per la zuffa fieristico-artistica che di poco ha preceduto quella cinefila. A onor del vero qui gli attori in commedia non sono tutti torinesi, anzi il casus belli è scatenato da un poco diplomatico, per sua stessa natura, fiorentino. Fu un'intervista alla 'Stampa' di Francesco Bonami, ex direttore della Biennale di Venezia e attuale della Fondazione Sandretto di Torino, dove il 10 novembre tuonò contro Roberto Casiraghi organizzatore di Artissima, la fiera d'arte più trendy d'Italia, rivelando un progetto a suo parere in evidente conflitto d'interessi. "Così non si fa", disse senza mezze parole Bonami, "non si può essere organizzatore di una fiera con fondi pubblici (Regione, Comune, Provincia) a Torino, e intanto come imprenditore privato organizzarne un'altra concorrenziale a Roma".
(Francesco Bonami)

La parola Roma cade come un macigno nello stagno. Fosse stata Zurigo, Torino avrebbe pure mantenuto il suo proverbiale aplomb. Ma Roma no, e giù articoli da destra e da sinistra, contro 'Roma-pigliatutto' diventata ormai una parola sola. Ne fa le spese un incauto Walter Veltroni, giunto a Torino per presentare il suo libro proprio in quei giorni. "Pure l'arte ci volete togliere", gridano scalmanati torinesi dal pubblico. A niente valgono le rassicurazioni del sindaco capitolino che dichiara di non conoscere Casiraghi, di non aver promosso tanto progetto e di non trovare niente di scandaloso in attività culturali che si accendono nelle diverse città d'Italia. In fondo lui non ha mai rinfacciato a nessuno l'avergli copiato le notti bianche.
Fedeli interpreti del sentimento popolare sono una sconcertata Mercedes Bresso, presidente della Regione, e un furioso assessore regionale alla Cultura, Gianni Oliva, che lanciano un aut aut a Casiraghi: 'o Roma, o Artissima'. Lui sbatte la porta, si dimette, contrattacca: "Non sono manifestazioni analoghe; sono vittima di poteri forti a cui dà fastidio l'autonomia della fiera; se avessero tenuto alla manifestazione avrebbero aumentato di qualche euro un contributo fermo da sei anni...".
Sì, perché la romana Road of Contemporary Art a differenza di Artissima, nelle intenzioni di Casiraghi nasce come fiera paludata e di grande collezionismo da ospitare in luoghi di prestigio. Già decise le date del debutto (26-29 aprile 2007) e alcune location (palazzo Venezia, un'ala dell'ospedale di Santo Spirito e, sovrintendenza permettendo, le Terme di Diocleziano). Già deciso il comitato scientifico in cui figurano il sovrintendente Claudio Strinati e i responsabili dei musei d'arte contemporanea di Roma, Danilo Eccher per il Macro e Pio Baldi per la Darc-MaXXi. Già deciso il progetto di portare cento tra le più importanti gallerie del mondo. Non ancora chiuso il budget, che prevede un minimo di 3 milioni e un optimum di 5 milioni, tutti privati.
(Danilo Eccher - U.Pizzi)

"Insomma", sostiene Casiraghi, "niente di paragonabile a quella fiera nata per soddisfare un mercato giovane, artisti di ricerca e gallerie di tendenza che è Artissima". Verissimo, perché da questo quadro Roma sembra puntare a ben altro concorrente: la storica Artefiera di Bologna, indiscusso leader del settore in Italia. Manifestazione solida, specchio della grande tradizione del nostro mercato, appuntamento d'obbligo per quello moderno, ma aperta anche al contemporaneo, Artefiera negli ultimi anni è sempre più cresciuta negli spazi e nel prestigio internazionale. Ma all'udire la parola Roma qualche brivido scuote anche la sua opulenta solidità bolognese.
"Dispiace", afferma Marisa Corso, direttore commerciale di Bologna Fiere, " che questo Paese non sappia mai fare sistema, che invece di consolidare quello che ha o di concertare le iniziative, ne faccia nascere altre in competizione. E non parlo di Artissima, che è sempre stata per noi una fiera complementare, non concorrenziale". Tanto complementare che, tra i nomi candidati a sostituire Casiraghi, ci sono da una parte Vittorio Bo, responsabile del Festival della Scienza di Genova, dall'altra Lorenzo Rudolf, il favorito. Ex direttore di Basilea, Rudolf è ora consulente di Artefiera e organizzatore della ShContemporary, che si terrà dal 6 al 9 settembre all'Exhibition Center di Shanghai. Ovvero prima colonia di Artefiera in Cina.
Se Rudolf accetta la direzione di Artissima, significa che Torino ha accolto l'offerta di aiuto giunta da Luca di Montezemolo (presidente di BolognaFiere). E significa ancora che le due fiere si preparano a un gemellaggio per costituire un asse contro "la vorace grandeur di Roma in piena deriva neocentralista", come l'ha definita Rolando Picchioni direttore della Fiera del Libro, preoccupato a sua volta per la veltroniana rassegna 'Più libri, più liberi' che già gli ha scippato due componenti dello staff. Tanto è preoccupato Picchioni da farsi promotore, il prossimo 8 maggio alla Casa Olimpia al Sestriere, di un dibattito nazionale dal titolo: 'Capitali culturali d'Italia. Collaborazione o competizione?', con sottinteso sottotitolo, 'processo a Roma'.
(Veltroni e Montezemolo - U.Pizzi)

"Non vogliamo chiedere alla capitale di rinunciare ai suoi eventi. È ovvio che la città del cinema senta il bisogno di un festival del cinema, ma non possiamo neanche accettare sistematicamente che ci vengano sottratti quadri, formati e cresciuti in questa città", è la protesta dell'assessore alla Cultura di Torino, Fiorenzo Alfieri, che ha fama di uomo diplomatico: "È irritante che giungano proposte per la Festa del Cinema ad Alberto Barbera e a Steve Della Casa. Che a Casiraghi venga offerta un'altra fiera d'arte. Se Roma vuole crescere, faccia crescere i suoi uomini. Le esperienze degli altri non sono un supermercato in cui comprare idee e persone". "Prima di tutto io sono genovese e non torinese, secondo non mi ha formato l'assessore Alfieri, terzo non capisco perché accusano me di conflitto di interessi e poi vanno a cercare un direttore che arriva da Basilea ed è consulente di Bologna", risponde sarcastico Casiraghi: "Io voglio rilanciare il grande mercato d'arte nella capitale per renderla concorrente a Madrid, Londra e Parigi, in un'ottica internazionale e non provinciale".
Ma il mercato da che parte sta? "Per carità, un'altra fiera no. Ho fatto sette fiere nel 2006: Basilea, Miami, Parigi, Torino, Bologna, Londra, New York", spiega Massimo De Carlo, uno dei più attivi galleristi italiani: "Oltre 70 giorni fuori Milano solo per questo. E ho visto nascere con successo solo fiere come Frieze a Londra, in città che avevano alle spalle una solida cultura contemporanea dal design al teatro, dal cinema all'architettura. Non vedo spazio per un'altra fiera in Italia dove c'è ancora una legislazione punitiva verso il collezionismo, la più pesante pressione fiscale sull'arte d'Europa e dove non c'è quasi cultura della contemporaneità. Tutta questa storia dimostra che abbiamo un respiro corto e uno sguardo che non supera le Alpi".
Dagospia 12 Gennaio 2007

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A. C. per “Panorama” - Inaspettato regalo per Gina Lollobrigida. L'azienda filatelica della Repubblica di San Marino ha deciso di dedicare all'artista di Subiaco quattro francobolli, distribuiti dal 23 gennaio. A far particolarmente piacere alla «Lollo», spiegano da San Marino, l'idea di ricordarla attrice, ma anche scultrice, fotografa, pittrice e per il suo impegno umanitario: il francobollo più costoso (3,20 euro) riproduce la foto dell’incontro del ’90 con Madre Teresa di Calcutta.
Dagospia 12 Gennaio 2007

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A Montecitorio cresce e preme la lobby dell’Associazione parlamentare Amici delle nuove tecnologie. Presidente onorario: Francesco Cossiga, senatore a vita, cultore insigne della materia. Vicepresidente: Antonio Palmieri, FI, erculea colonna teocon. Presidente: Franco Grillini, ds, star onoraria dell’Arcigay, crociato dei diritti omo, stregone di wi- max e bande larghe, sportello informazioni vivente sui suddetti temi per la fauna da Jurassic park circolante in Transatlantico.

I tre capeggiano una lista di oltre 70 deputati, icone vezzeggiate dai signori delle tlc con cene spettacolari e cellulari omaggio. Prima di Natale la Samsung: cibo da gourmet in onore di Wibro (è solo una tecnica per telefonare via internet, null’altro).
La lobby si dà da fare. Palmieri è autore di una proposta di legge per la bicamerale delle nuove tecnologie. Grillini firma iniziative parlamentari. Ha coinvolto un Romano Prodi, ostico del ramo, per convincere il ministro Arturo Parisi a cedere finalmente, e lo ha fatto, la concessione di frequenze della Difesa per portare la banda larga nei borghi più sperduti del Paese. Gioiscono gli indigeni utenti e le compagnie di tlc: seguirà gara.
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E' questa la cultura ???
4 - BATMAN E BOND IN POSA…
James Bond, Hulk, Freddy Krueger, Shrek, Spider-Man, Batman: immaginateli in plastica, alti pochi centimetri, messi in posa davanti a un fondale nero e un primo piano che diventa un ritratto fotografico dai colori acidi ma dal sapore rinascimentale. A metterli assieme è stato Alessandro Cidda per il suo esordio espositivo dal titolo Fenomeni (Monocromo Art Gallery, Roma, viale Parioli 39/f, fino a fine gennaio, www.monocromo.it). Questo strambo esercito tra l’umano e il supereroe nasce da una passione collezionistica che lo porta a cercare i pupazzi vinilici in maniera continua. Finché quei pochi che lo colpiscono ed emozionano diventano gli attori di una divertente finzione figurativa tra ritrattismo e cultura pop.
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3 - MA TEX HA MAI BACIATO LA MOGLIE?
Non ci sono soltanto i grandi baci della storia del cinema, da quello più lungo fra Cary Grant e Ingrid Bergman in “Notorious” di Alfred Hitchcock a quello celeberrimo di “Via col vento” fra Clark Gable e Vivien Leigh. Ci sono anche i baci nel fumetto. Dammi un bacio da fumetto, a cura di Andrea Leggeri, è il volume che l’editore Coniglio pubblica a febbraio e che raccoglie le strisce dei baci dati e ricevuti dai più celebri eroi delle strisce. Da Lupo Alberto alla gallina Marta, dall’Uomo Ragno a Mary Jane, da Diabolik a Eva Kant, e così via.
Nella cartella stampa compare anche il nome del castissimo Tex Willer, che, pur essendo stato sposato e avendo avuto un figlio dalla dolce Lilith (figlia unica del capo indiano dei navajo Freccia Rossa), non ha mai dato segno di grandi impeti sentimentali. Domanda al curatore dell’antologia: ma quando mai, in tutte le sue avventure, Tex Willer ha dato un bacio vero a una donna?
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Lo ricordano in tanti, comossi, il grande produttore che contribuì a costruire le fondamenta del cinema italiano e non solo. A cominciare da Maria Scicolone, sorella di Sofia Loren: «Per tutti noi Carlo è sempre stato un pilastro, la sua scomparsa è un momento terribile soprattutto per mia sorella Sofia. Sono sempre stata affascinata e sorpresa dalla sua cultura e dalla sua freschezza». E Alessandra Mussolini, sua nipote, rivela come «mio zio Carlo è stato lucido fino alla fine. Ci siamo visti in Svizzera lo scorso Natale e abbiamo parlato di cinema, arte, politica soprattutto dell’Italia. E’ stato un uomo straordinario, uno dei maggiori produttori quando il cinema era grande».
Dino De Laurentiis, da Los Angele dove si trova per lavoro, parla di Ponti e delle «nostre avventure insieme, le ricordo con profondo affetto. Sono fortemente colpito dalla scomparsa di un grande produttore e soprattutto di un caro amico». Manuel De Sica, figlio del grande Vittorio che lavorò con Ponti per “La Ciociara”, ricorda il suo carattere «e il suo modo di vedere il cinema completamente diverso da quello di Dino De Laurentiis. Carlo era un settentrionale lucido, determinato, puntava su film di sicuro successo internazionale. Dino, napoletano di Torre Annunziata, era l’uomo delle grandi imprese, dei progetti colossali. Forse anche per questo il loro tandem non funzionò», e Aurelio De Laurentiis aggiunge: «Se ne va un pezzo di storia del cinema italiano. A lui si deve anche l’ascesa della Loren in America». E se Franco Zeffirelli, nella sua recente autobiografia, ricorda come fu proprio Ponti a proporre la Loren a De Sica per “La Ciociara” dando così inizio alla sua strepitosa carriera, Mario Monicelli afferma come avesse «più capacità finanziarie e fiuto degli altri. E’ stato un illustre rappresentante di quella generazione di grandi maestri come Lombardo, Cristaldi e Dino De Laurentiis che provenivano dalla guerra perduta» e il press-agent Enrico Lucherini, che con Ponti lavorò più volte, ricorda la sua simpatia: «Era sempre allegro, ma al tempo stesso era una persona durissima». Molti i messaggi di cordoglio anche dal mondo politico. Dai presidenti Bertinotti e Marini, al sindaco di Roma, Veltroni («Un uomo colto e innovatore che ha legato al suo nome capolavori indimenticabili»), al ministro Rutelli («I suoi film sono parte integrante della storia del cinema italiano»), il presidente dell’Anica Ferrari e quelli di Agis e Anec, Francesconi e Protti.

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Il Messaggero Giovedì 11 Gennaio 2007 di GOFFREDO FOFI

E sulla loro diversità e sulle loro somiglianze (un vecchio comico che lavorò molto per loro, Tino Scotti, fu lapidario: «Si sono trovati bene perché uno era un milanese e l’altro un napoletano. Ponti la positività, De Laurentiis l’inventiva. Quello che rischiava era De Laurentiis, quello che ragionava era
Ponti»). E sulle loro furbizie e sulle loro avventure. E sulla loro dedizione al mestiere di produttore, nel quale Ponti fu, alla lunga, più accorto e lungimirante che non De Laurentiis, che era meno rispettoso dell’operato dei registi. Esordirono entrambi con Soldati, il primo lavorando alla produzione di
Piccolo mondo antico (assieme ad Alberto Lattuada, di cui restò sempre amico, in una collaborazione proficua per entrambi) e il secondo a quella di Malombra, che era un film Lux, prodotto cioè dalla casa dell’industriale torinese Gualino. Per la Lux Ponti e De Laurentiis in coppia organizzarono le lavorazioni di film di grande successo artistico o di pubblico, come Vivere in pace di Zampa, Mio figlio professore di Castellani, I miserabili di Freda, Senza pietà e Il mulino del Po di Lattuada, Vita da cani e Guardie e ladri di Steno e Monicelli e tanti altri film con Totò, finché attorno al ’50 non si misero in proprio e grazie a Totò, il cui trionfo di pubblico sfruttarono senza remissione, diventarono una coppia di produttori centrale nel panorama
italiano ed europeo di un cinema che ancora “tirava”, che riempiva le sale. Fu un loro film, per esempio, Totò a colori, il primo film italiano a colori, e Ulisse, con Kirk Douglas, il primo prodotto italiano a far concorrenza agli americani, e il superfotoromanzo Anna con la Mangano, e La strada, e L’oro di
Napoli eccetera. Una serie di film imprescindibili nella storia del cinema italiano. Poi i due litigarono, e andarono avanti ognuno per conto suo. Ci resta più simpatico Ponti, meno megalomane e, pare, più disposto al dialogo con gli autori che non De Laurentiis, ossessionato da Hollywood.
Tra i titoli di Ponti dovremo ricordare ancora i film coprodotti in Francia in aura “nouvelle vague”, alcuni dei primi film di Marco Ferreri, molto Antonioni internazionale (da Blow-up a Zabriskie Point a Professione: reporter), eccetera. Vennero poi anni di decadenza, ma perché erano il cinema, il suo pubblico e il suo mercato, a decadere. Naturalmente non si possono dimenticare i film che ha fatto con e per Sophia Loren, sua moglie. Si pettegolò molto sulla loro alleanza. De Laurentiis aveva sposato la Mangano e vi aveva investito, ma questa splendida superdiva del dopoguerra si disamorò presto del cinema, e non gli dette come “star moneymaker” le soddisfazioni che lui si aspettava. Per imitazione, dissero i maligni, Ponti investì sulla Loren, e la sposò e la impose in una serie di film fortunatissimi, facendone una diva da Oscar. Gli andò certamente meglio che al rivale, perché la Loren voleva fortissimamente diventare una diva, voleva fortissimamente l’affermazione internazionale. Aveva meno stile della Mangano, ma lei ci credeva e la Mangano no. Ponti deve alla Loren, la Loren deve a Ponti film come L’oro di Napoli, La donna del fiume, La ciociara, Boccaccio ’70, Ieri oggi e domani, Matrimonio all’ italiana, Una giornata particolare... Però il trionfo dei trionfi fu per Ponti un film senza nazione e senza la Loren, semplicemente con una grande storia, un cast possente, un regista capace: Il dottor Zivago. Ce n’è abbastanza per considerare la sua carriera con il dovuto rispetto, e per aver nostalgia dei suoi anni d’oro, che sono stati gli anni d’oro del cinema italiano.

di GLORIA SATTA
UN altro gigante se ne va. E’ un nuovo colpo al cinema italiano che ha saputo farsi onore nel mondo, alla cultura del nostro Paese. E’ morto a Ginevra Carlo Ponti, produttore di grandi film come La strada, La Ciociara, Il dottor Zivago, Il disprezzo, Blow up, Una giornata particolare, e marito-pigmalione di Sofia Loren. Aveva 94 anni ed era, con Dino De Laurentiis, l’ultimo rappresentante di quella generazione di imprenditori appassionati e coraggiosi, colti e geniali, pronti a rischiare in proprio e abituati a pensare in grande. Una generazione di cui hanno fatto parte anche Franco Cristaldi e Goffredo Lombardo: a loro, ai superproduttori del passato prima ancora che ai registi, si deve l’irripetibile grandeur del nostro cinema, con la nascita dello star system, gli Oscar, la considerazione internazionale. La loro fede nel mestiere era assoluta. La loro autorevolezza poggiava sulla determinazione. Anche a costo di sconfinare nell’autoritarismo, nello scontro aperto con i registi.
Memorabili le baruffe di Ponti, tipo tostissimo malgrado il buon umore costante, con De Sica, con Godard, con Ferreri. Vinceva lui: a De Sica soppresse un episodio di L’oro di Napoli, al film di Godard rifece dialoghi e colonna sonora, mentre ridusse a un breve racconto L’uomo dei cinque palloncini di Ferreri. Ma il regista Maurizio Ponzi ricorda la battaglia del produttore per difendere Qualcosa di biondo dagli americani che volevano manometterlo. E di Ponti restano indimenticabili anche le lacrime quando a Venezia, nel ’98, vinse il Leone d’oro alla carriera e lo dedicò a Sofia, assente a causa di un malore. Nell’Ospedale Cantonale di Ginevra, dove una polmonite ha stroncato il suo fisico già provato, Ponti fino all’ultimo ha avuto vicini la celebre moglie e il secondogenito Edoardo con la compagna Sasha Alexander e la loro bambina Lucia. Il figlio maggiore, Carlo junior, è arrivato subito dopo dalla California, dov’è direttore della San Bernardino Orchestra. Il produttore lascia altri due figli, nati dal primo matrimonio con Giuliana Fiastri: Alex, stesso mestiere del padre, e Guendalina, avvocato del cinema.
Sofia sta affrontando queste ore con grande compostezza e forza d’animo, racconta la sorella Maria che dall’attrice stessa, nel cuore della notte, ha avuto per telefono la notizia della morte del cognato. E la Loren, inseguita dai media del mondo intero, ci ha rilasciato solo una dichiarazione concisa e sincera: «Consolata dalla fede», ha detto tra le lacrime, «vivo questo momento di dolore e sofferenza. Con la scomparsa di Carlo si è chiusa una splendida e grande pagina della mia vita». Non esagera. Fu proprio il produttore, che per amore suo aveva affrontato una burrascosa separazione dalla moglie e l’accusa di
bigamia nell’Italia pre-divorzio, a costruire la carriera di Sofia. Era innamorato di lei, certo, ma da geniale fabbricante di cinema ne aveva intuito le eccezionali potenzialità artistiche. Fu lui a farla esordire nel ’51, con lo pseudonimo di Sofia Lazzaro, nel drammone di Lattuada Anna. E ci sarebbe
stato ancora lui dietro i film destinati a consolidare la leggenda della diva: L’oro di Napoli, La Ciociara, Ieri oggi e domani, Matrimonio all’italiana, Una giornata particolare, e poi in America Orchidea nera di Ritt, Il diavolo in calzoncini rosa di Cukor, Lady L di Ustinov.
Carlo, avvocato mancato e uomo del Nord nel romanissimo mondo del cinema, conobbe la futura Loren al famigerato concorso di Miss Italia del ’50, nel quale Sofia avrebbe rimediato solo la fascia di “Miss Eleganza”. Nel ’57 i due si sposarono in Messico. Al ritorno scattò l’accusa di bigamia per Ponti,
giuridicamente ancora legato alla Fiastri, e il boicottaggio dell’Italia perbenista nei confronti dell’attrice, costretta a rientrare in patria clandestinamente per girare La baia di Napoli accanto a Clark Gable. Fu solo nel ’66 che la coppia poté risposarsi in Italia. Il matrimonio, cementato da complicità e
affetto, per mezzo secolo non ha mai mostrato cedimenti malgrado i pettegolezzi, la fama di dongiovanni di lui, le chiacchiere su un presunto flirt tra l’attrice e Cary Grant. «Se penso a Carlo», disse una volta la Loren che, essendo figlia illegittima, ha sempre difeso la propria famiglia con le unghie e con i denti, «ho l’impressione di essere sua moglie da sempre. Si può dire che sono nata sposata con lui...».
Nel ’50, Ponti formò una società con De Laurentiis dalla quale scaturirono film di Fellini, Rossellini, Lattuada, Steno, Totò. Furono colossi come Ulisse di Camerini e Guerra e pace di Vidor a incrinare l’intesa tra i due produttori. Il milanese continuò da solo e nel ’77, dopo aver prodotto Una giornata particolare, chiuse il maestoso ufficio all’Ara Coeli e, già cittadino francese dal ’65, trasferì gli affari negli Usa dividendosi tra il ranch in California e la villa di Ginevra. Negli anni successivi, accusato in Italia di evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato, uscì assolto da una decina di procedimenti giudiziari. Mentre Sofia, nell’82, scontò per reati tributari 15 giorni di carcere a Caserta. Oggi lo piange l’Italia del cinema, della politica, delle istituzioni. «Se ne va un pezzo di storia», dice Aurelio De Laurentiis, mentre il ministro Rutelli propone di abbrunare la bandiera del cinema.

di ROBERTA BOTTARI
CARLO Ponti è stato uno dei più grandi produttori in assoluto e, come tale, non solo ha realizzato ben 151 film, fra cui Il dottor Zivago e Blow-up, ma ha anche avuto il privilegio di essere interpretato da un attore sul grande schermo. È stato Joseph Long in Tu chiamami Peter (2004) a vestire i panni di
Ponti e lo ha fatto tratteggiando la figura di un uomo deciso e solidamente attaccato al lavoro.
La sua carriera iniziò nel dopoguerra, con Piccolo mondo antico, Sissignora, e Giacomo l’idealista. Il suo senso del dovere e le sue capacità lo resero unico in brevissimo tempo. Poco dopo strinse un sodalizio con De Laurentiis che diede vita a pellicole come Anna di Lattuada, La strada di Fellini, Europa 51
di Rossellini. Il sodalizio fra i due produttori si interruppe a causa di Guerra e pace di Vidor e Ulisse di Camerini, film che Ponti non voleva realizzare. Ma se non si è trattato di un pretesto, ci si avvicina, perché i due avevano caratteri completamenti diversi. E nessuno era tipo da arretrare per fare spazio all’altro. Ponti non amava i kolossal: troppo dispendiosi e non sempre di successo al botteghino per un produttore che di se stesso diceva sempre «sono concreto, non sognatore». Parole che, dette dall’uomo grazie al quale è stato realizzato Il dottor Zivago, fanno sorridere di tenerezza.
Sono molti i film che danno lustro alla carriera di un uomo il cui unico neo sembra essere stato quello di aver rifiutato un lungometraggio di Milos Forman, Al fuoco pompieri! (1967), che poi fu realizzato ugualmente grazie all’aiuto di François Truffaut. Fra i fiori all’occhiello non si possono non citare Una giornata particolare di Scola, Professione Reporter di Antonioni, Ieri ,oggi, domani di Vittorio De Sica, Il disprezzo di Godard. Ma, per ultimo, ci piace citare Il ferroviere di Germi, solo per ricordare che, malgrado lo negasse, in Carlo Ponti c’era anche un sognatore.

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