Quello che il maghetto indossava in uno dei primi episodi, il Mantello dell’Invisibilità: è la cosa che più recriminiamo di non aver messo in valigia. Non solo ci tornerebbe utile per ripararci dal sole precocemente estivo e dal clima simil-cella frigo delle sale di proiezione, ma innanzi tutto ci donerebbe un elemento già prezioso nella vita di tutti i giorni che a Cannes diventa prioritario: il tempo.
Come davanti a un ricco buffet consultiamo il programma con avidità, cercando di arraffare il più possibile di ciò che stuzzica maggiormente il nostro appetito cinefilo. Esercizio vano, in realtà sono i film a scegliere noi, in un percorso obbligato verso la prima ‘scéance’ compatibile con l’orario di uscita della precedente.
Eclissarsi sotto il mantello fatato ed entrare in sala all’ultimo momento in barba agli uscieri – muro di gomma fra spettatori e palazzo – ci farebbe guadagnare almeno un’ora e mezzo tra fila di attesa-controllo badge-controllo borse-controllo persona, da destinare ad altra visione. Ci risparmieremmo la frustrazione di esser lasciati fuori dal film-evento ‘Control’ [Anton Corbijn – Menzione Speciale Camera d’Or], una delle due spine nel cuore, l’altra è ‘Persepolis’ [Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud, Prix du Jury ex-equo con ‘Stellet Licht’ di Carlos Reygadas], mai centrato per impegni concomitanti. Insoddisfatta pure la curiosità per ‘La Forêt de Mogari’ di Naomi Kawase che si è aggiudicato il ‘Gran Prix’.
Per non parlare degli ambienti riservati in cui potremmo imbucarci, vedi il ‘Wi-Fi Café’ al terzo piano per la stampa, con internet, caffé e persino champagne gratuiti, nonché la Plage de Palmes e naturalmente i blindatissimi Vip-party.
A pensarci bene anche la scopa volante di Harry offrirebbe una valida scorciatoia per le trasferte alla ‘Quinzaine des Réalisateurs’ o alla ‘Semaine Internationale de la Critique’, che in orario di ‘Red Carpet’ ci sottopongono allo slalom fra i passanti sulla Croisette a un ritmo da passeggiata serale di un pensionato in vacanza. Oltretutto, una volta tanto ci toglieremmo lo sfizio di guardare Cannes dall’alto, giacché in effetti - mantello magico o no – collocati ai piani bassi del ‘peuple badgé’ a Cannes invisibili lo siamo comunque. Quest’anno gli accreditati dello ‘Short Film Corner’ – reparto del ‘Marché du Film’ concepito per il cortometraggio a partire dal 2004 – sono scesi di un ulteriore gradino perdendo l’accesso agli inviti (biglietti) per il Grand Théâtre Lumière, tempio della Competizione Ufficiale e degli Eventi Speciali, dove hanno luogo le ‘Montée des Marches’ più celebri al mondo. Inviti che in ogni caso in passato ci siamo sudati con ore e ore di attesa e spesso senza risultato. Nel 2007 è stato perfezionato il sistema informatico, con prenotazione generale dei biglietti tramite codice sul badge, ma solo per i badge abilitati.
Non sappiamo se e quali altre categorie siano state declassate, ma per quanto ci concerne il motivo parrebbe l’alto numero di accrediti rilasciati, intorno ai 4000 contro il migliaio del 2006, quasi il doppio dei giornalisti presenti, ci dicono. Che siamo in tanti lo si capisce al momento dell’ ‘Happy Hour’, lo spazio di intrattenimento che lo ‘Short Film Corner’ riserva ai membri ogni sera dalle 17.00 alle 18:30 per facilitare conoscenza reciproca e scambi. La calca attorno al bar rimanda all’entrata di Harrod’s il primo giorno dei saldi, ma dopo 20 minuti si riesce a metter mano sui beveraggi – abbondanti e di qualità – e se si è fortunati su salatini e noccioline, in quantità più modesta. Qui i cortisti si ritrovano, confrontano le rispettive esperienze e le condizioni in cui si opera nei vari paesi e continenti. L’opinione comune, dall’Europa all’Australia al Giappone, è che in teoria Cannes è una buona opportunità, tuttavia bisogna tener presente che i cortometraggi iscritti direttamente da un autore free-lance sono la minoranza, contro un buon numero di programmi di film brevi facenti capo a distributori, Film Commission, scuole di cinema e associazioni di supporto, che in più organizzano proiezioni private nelle sale del ‘Marché du Film’. Se poi consideriamo che il catalogo include i corti della selezione ufficiale come pure quelli della ‘Quinzaine’, della ‘Semaine’, della ‘Cinéfondation’ e di ‘Tout le Cinéma du Monde’, le possibilità che in una Video-Library di oltre 2000 titoli venga pescato un indipendente sconosciuto nella pratica si riducono alquanto. Poi leggenda vuole che a Cannes i veri contatti si stabiliscano alle feste esclusive, ahimé solo per i fortunati che riescono a sgraffignare un invito (o per chi non ha dimenticato il mantello). Va comunque detto che in genere i singoli, specie se esordienti e digiuni di marketing, iscrivono il film in primo luogo per garantirsi un accredito al festival dei festival. Non mancano però i pragmatici che anche con un video di un minuto vengono solo per vendere, si dedicano da mane a sera alle pubbliche relazioni e siedono sempre in prima fila alle Tavole Rotonde - ulteriore iniziativa giornaliera dello ‘Short Film Corner’ - incentrate sui vari aspetti del mondo corto, dalla produzione allo sfruttamento sui New Media al passaggio al lungo, che vedono come relatori esponenti noti e qualificati del settore. Le nostre poche partecipazioni ci riconfermano che in altri paesi l’attenzione verso il formato breve ha un diverso spessore, sia in termini di appoggio produttivo che di assorbimento commerciale.
Noi che non brilliamo di senso pratico e non siamo ben introdotti dedichiamo maggiori risorse ai film. Quelli del Lumière li recuperiamo con un giorno di ritardo alla ‘Salle du 60e’. La neo-nata sala, allestita sul tetto dell’edificio adibito al mercato, ospita inoltre gli ‘Hommages du 60e’ dove passano fra gli altri Olmi, Lelouche, e i Wajda e Lumet d’annata. Relativamente piccola, con scarsa illuminazione, assomiglia a un teatro tenda e ogni tanto non parte il suono. Per il futuro si spera provvedano altrimenti.
Ci teniamo alla larga dalle parate di star internazionali, smoking, abiti da sera e gioielli Chopard che conosciamo ormai a memoria e, grazie alla familiarità acquisita con gli anfratti nascosti del ‘Palais’, siamo diventati maestri nell’evitare la folla pittoresca che si assiepa fin dal primo pomeriggio intorno alle transenne della famosa entrata, munita di scale per una visione migliore, di sedie e cestini da picnic in un’atmosfera da giro d’Italia. Questione di fretta, non di snobismo. Al contrario, riconosciamo al Festival di Cannes la grande capacità di saper amalgamare tutte le anime dell’universo cinema: attrazione popolare, glamour divistico, mercato, arte e ricerca.
L’anniversario a cifra tonda, al di là dei ricevimenti e dei fuochi d’artificio moltiplicatisi per l’occasione, si festeggia al meglio con una qualità ritrovata. Mentre la 59a edizione aveva lasciato perplessi sia pubblico che critica, quest’anno il livello delle selezioni incontra i favori di entrambi. Una scelta abbastanza variegata, autori affermati che si ripropongono senza grosse sorprese, autori emergenti meno narcisisti del solito, una tendenza diffusa a privilegiare l’estetica a discapito di altre componenti, ma di rado priva di interesse. A nostro avviso la giuria principale centra il bersaglio con la Palma d’Oro al rumeno Cristian Mungiu per il coinvolgente ‘4 luni, 3 saptamini si 2 zile’.
Annunciati i Palmarès andiamo a preparare i bagagli. La temperatura è scesa, ci vorrebbe il mantello, a questo punto solo per tenerci al caldo. Già fa capolino il rimpianto di queste due settimane frenetiche nel paese dei balocchi di celluloide e pixel, fuori dal tempo e dallo spazio. Oltrepassiamo la Croisette, attraversiamo la rue d’Antibes dai negozi di lusso, mentre i mendicanti reclamano qualche cent. Ritorna il mondo reale.