“PICCOLA
STORIA DEL CINEMA”
Appunti tratti dal
libro “INTRODUZIONE ALLA STORIA DEL
CINEMA” a cura di P. BERTETTO - UTET
IL CINEMA DELLE
ORIGINI – Cap. I -
Una semplicistica convenzione storica attribuisce ai
fratelli Louis e Auguste Lumiere di Lione l’invenzione del cinema e
individua nella data della prima
proiezione pubblica a pagamento del Cinématographe
Lumiere (il 28 dicembre 1895 a Parigi)
la simbolica data di inizio della storia del cinema.
In realtà nel 1891 negli Stati Uniti Thomas Edison e William Dickson
mettono a punto il kinetoscopio: il dispositivo consente attraverso un mirino la
visione di un brevissimo film a un solo spettatore per volta. Ma il rapido
declino di questo apparecchio conferma che il futuro
del cinema è legato alla produzione collettiva.
Negli
ultimi anni dell’Ottocento la proiezione di film non costituisce uno spettacolo
autonomo, è allestita in sedi precarie come caffè o sale da ballo oppure è
integrata all’interno di spettacoli come il circo o il teatro di varietà.
Il
responsabile principale del modello produttivo è l’operatore di macchina
da presa.
Verso
il 1900 si inizia a valorizzare la messa in scena e il
film narrativo a scapito delle riprese dal vero.
Il
modo di produzione si riorganizza e si viene a delineare
la figura del regista che diventa il responsabile della concezione del
film e sovrintende alla sua lavorazione (si tratta del cosiddetto director system) .
Il
cinema diventa presto la forma di spettacolo più popolare: nascono un po’
ovunque le prime sale cinematografiche permanenti, in particolare negli Stati
Uniti dove dopo il 1905 si moltiplicano i nickelodeon , ossia locali dedicati al
cinema che attirano un pubblico popolare. Il loro successo è
dovuto ai programmi rapidi (dai 6 – 8 film di vario genere),
nell’estrema varietà degli orari (per consentirne la visione anche ai
lavoratori) e soprattutto nei biglietti a prezzi bassi.
L’aumento
esponenziale della domanda dei film sollecita un
passaggio alla produzione di massa.
Intorno
al 1905 nascono le prime grandi strutture produttive:
·
Il paese più forte è la Francia, dove George Méliès si specializza nel
film a trucchi e dove Charles Pathé e Léon Gaumont creano la Pathé, azienda leader a livello
mondiale.
·
Un altro grande polo produttivo è l’Italia dove case di produzione
come la Cines Roma e l’Ambrosio dimostrano un’eccezionale capacità competitiva;
in particolare l’Italia si specializza nella produzione di film storici
monumentali (come ad es. “Quo Vadis?” Di Guazzoni del 1912 e “Cabiria”
di Pastrone del 1914), poi si privilegia anche il melodramma mondano
d’atmosfera dannunziana e il dramma realista.
·
Poi c’è la Danimarca
dove Ole Olsen fonda la Nordisk,
la più grande compagnia di produzione del mondo dopo
la Pathé. In particolare la Danimarca si specializza negli intrecci polizieschi
e nei drammi torbidi e sensuali.
·
Anche se gli Stati
Uniti rappresentano l’area più vasta del mercato mondiale, le case di
produzione non riescono a coprire la crescita della domanda interna. Questo
anche a causa dello stallo produttivo dovuto alla cosiddetta “guerra dei brevetti” : Edison per una decina
d’anni tenta di impedire a chiunque lo sfruttamento commerciale del cinema
rivendicando l’esclusività dei brevetti su cineprese, proiettori e pellicole.
Dal
1906 nascono le serie comiche:
le prime produzioni comiche sono francesi, interpretate da Andrè Deed e
Max Linder, ma qualche anno più tardi si sviluppa una forte e innovativa
produzione comica negli Stati Uniti grazie al talento creativi di Mack Sennett
(regista e produttore formatosi alla Biograph e poi fondatore nel 1912 della
casa di produzione Keystone) . Sennett
attraverso numerosi e brevi film a una o due bobine perfeziona il modello della cosiddetta slapstick
comedy , cioè della comica “violenta” fatta di cadute, torte in faccia,
con una comicità farsesca e catastrofica capace di fornire una rilettura
stravolta e grottesca della società e questo grazie al succedersi ripetitivo e
fulmineo delle gag.
I
film intorno al 1910 sono dunque prodotti secondo logiche di crescente standardizzazione.
Anche
per questo motivo i produttori americani cercano di trovare un accordo che ponga fine alla
‘guerra dei brevetti’: Edison e case produttrici come la Biograph capiscono che
è necessario un controllo del mercato e così nel 1908 si costituisce il potente
trust della Motion Picture Patents
Company , un accordo monopolistico che riesce a ridurre la presenza
francese, italiana e danese nel mercato interno.
Per
coinvolgere la borghesia si cerca di legittimare il cinema sul piano culturale
attingendo largamente al patrimonio letterario. Ad esempio in Francia nasce la Film d’Art,
che si impegna negli adattamenti da testi teatrali famosi.
I
primi anni dieci segnano una rapida espansione dell’industria cinematografica
americana: l’area centrale di produzione si sposta da New York alla costa del
Pacifico, nella zona intorno a Los Angeles. La California
, che garantisce ottime condizioni climatiche per le riprese in interni e
un’articolata varietà di paesaggi, diventa la meta privilegiata di quelle case
“indipendenti” che contrastano la
MPPC di Edison e che imboccano con convinzione la strada del lungometraggio.
Dopo
il 1916 il cinema americano impone una grande egemonia,
non solo perché Francia e Italia escono indebolite dalla prima grande guerra,
ma anche per altri motivi :
·
Le piccole compagnie di distribuzione e produzione tendono a fondersi
in aziende più grandi (nascono
l’Universal, la Paramount, la Warner Bros);
·
Il modo di produzione si trasforma: nasce il producer system . Dopo il 1914 al centro
del processo di lavorazione non vi è più il regista, ora responsabile
delle riprese del film, ma il produttore, responsabile dell’intera
lavorazione;
·
Vi è la nascita dello star
system : ossia si fa dell’attore principale il
veicolo pubblicitario del film e il fulcro del processo produttivo.
Il cinema delle origini costituisce un sistema
propriamente detto “Modo di
Rappresentazione Primitivo”, che si distingue dal “Modo di Rappresentazione Istituzionale” coincidente col cinema
narrativo classico di Hollywood.
L’elemento fondamentale del MRP è che l’inquadratura è il centro privilegiato della
rappresentazione. Fino al 1902 la maggioranza dei film è “monopuntuale” ossia
costituito da una sola inquadratura. Dal 1903 si iniziano
a girare film “pluripuntuali” ma anche in questi la comunicazione tra le
inquadrature è minima: il film è una giustapposizione di scene singole.
L’inquadratura del cinema “primitivo” presenta alcuni elementi caratteristici:
·
Illuminazione uniforme
·
Cinepresa fissa e in posizione prevalentemente frontale
·
Uso frequente del fondale dipinto
·
Considerevole distanza tra macchina da presa e attori
Si parla di un montaggio “non continuo”,
ossia non c’è un sistema di raccordi tra le inquadrature che fluidifichi
l’inevitabile discontinuità prodotta dai cambi di inquadrature.
Ci sono due differenti modalità
di organizzazione del discorso cinematografico:
·
Il sistema delle “attrazioni
mostrative” dal 1895 al 1908: ossia della priorità del trucco, dell’evento fuori dall’ordinario (molto vicino all’attrazione del
circo).
·
Il sistema del “ integrazione
narrativa” dal 1908 al 1915 (prelude al cinema narrativo classico): il
racconto diventa l’elemento portante; le inquadrature non sono più elementi
autonomi ma si integrano nell’unità del racconto. Per
questo le riprese tra il 1904 e il 1908 tendono sempre di più a essere realizzate in funzione del montaggio.
Il passaggio dal cinema delle attrazioni al cinema
dell’integrazione narrativa implica anche un cambiamento nelle relazioni tra il
film e lo spettatore : mentre nel 1° c’è uno spettatore che guarda e un attore che sa di esibirsi di
fronte al pubblico, nel 2° viene
completamente negato il contatto tra film e spettatore. Il film narrativo
costituisce un universo chiuso in se stesso.
Il MRI
elabora una serie di regole per costruire l’illusione della continuità. Lo
spettatore è assorbito all’interno del racconto dove è invitato ad assumere una
posizione di centralità, diventando però ‘invisibile’ all’attore che si muove
all’interno del racconto. Per questo già all’inizio degli anni Dieci i
produttori americani proibiscono agli attori di guardare in macchina.
Cinema delle
origini: da
Lumiere fino al 1908 / 1911 :
-
cinepresa fissa
-
assenza di montaggio
-
assenza di scelte stilistiche
-
si lavora con uno campo medio o totale, in spazio
chiuso (perché ricorda quello del teatro).
La tradizione storiografica attribuisce a Lumiere e
Melies il ruolo di padri fondatori del cinema , ma in
posizioni contrapposte:
VISIONE E SPETTACOLO
Lumiere : mira ad un cinema della
realtà, con riprese in esterno, tendenzialmente non narrativo e rifiuta una
messa in scena.
I film di Lumiere è
costituito da una sola inquadratura di circa 50 secondi, la cinepresa è
quasi sempre fissa, a volte collocata su un supporto mobile. L’unità dei
film è data dai flussi di movimento: i protagonisti dell’immagine sono il corpo
o l’oggetto in movimento e le traiettorie delle folle, il resto fa parte dello sfondo in quanto elementi statici. Sul piano
compositivo il movimento degli oggetti deborda i limiti del quadro come
ad esempio nel “Arrivo del treno alla Ciotat” del 1895 dove il suo
ingresso nel quadro fisso genera una sensazione di dinamismo e la sua
uscita oltre il quadro ricorda allo spettatore l’esistenza di uno spazio fuori
campo. Nel cinema di finzione (poco più del 10% della produzione
Lumiere) questa dimensione debordante dell’immagine viene meno: come ad esempio
nel “ l’Innaffiatore
innaffiato” del 1895 non è più un frammento prelevato dal mondo
reale ma un palcoscenico chiuso sul quale esibire l’azione narrativa.
Già dal 1898 si intravede
un declino dei Lumiere dovuto al fatto che la gente non richiede più
semplicemente film che mostrano la realtà
ma anche film di finzione.
Melies : mira ad un cinema più
spettacolare, fantastico, a un cinema del trucco inventato negli spazi chiusi
del teatro di posa, è il cinema d’attrazione basato non sulla storia ma
sull’effetto speciale.
Sul piccolo palcoscenico Melies allestisce degli
sketches in cui mescola trucchi e scenette comiche. Intuendo le possibilità
date dal cinema si concentra sulla
produzione di film a trucchi; fonda la Star Film e costruisce nel giardino
della sua villa il primo teatro di posa moderno.
Melies inventa un cinema
burlesco e parodistico, nei suoi film crea universi impossibili
eppure coerenti, capaci di sostituirsi alla realtà, come ad esempio in “Viaggio
sulla Luna” 1902 e “Viaggio attraverso l’impossibile” del
1904. Il procedimento che più utilizza è quello dell’arresto ( della
ripresa) e sostituzione (di uno o più elementi della scena).
Il cinema di Melies si muove con soluzioni originali
tra teatralità e narrativa. L’unità di base dei suoi racconti è la singola
scena, quasi mai sezionata in inquadrature. La cinepresa è
tendenzialmente fissa, gli effetti dinamici sono spesso un’illusione
legata al movimento di elementi interni al profilmico.
Il tema narrativo prediletto di Melies è quello del viaggio
in cui non vi è un’autentica progressione del racconto ma prevale la
successione non continua di eventi. L’elemento
centrale resta l’attrazione . Melies è interessato
al contenuto delle singole scene più che al loro montaggio.
Il declino arriva intorno ai primi anni Dieci,
dovuto ad un declino nell’interesse del pubblico al fantastico.
IL PRIMO CINEMA INGLESE
Tra il 1896 e il 1906 oltre alle possibilità
tecniche e spettacolari del trucco, si elaborano alcune soluzioni di montaggio
che saranno fondamentali per l’elaborazione del MRI.
L’inglese George Albert Smith tende alla divisione dell’azione in diverse inquadrature
correlate come ad es. in “Il bacio nel Tunnel” del 1899 :
tre inquadrature : treno che entra in galleria / interno dello scompartimento
con i due amanti che si baciano / treno che esce dalla galleria.
James Williamson
lavora invece sulla continuità d’azione tra inquadrature girate in spazi
diversi. Ad es. in “Fermate il ladro!” del 1901 mette in successione più
inquadrature di spazi contigui per rappresentare l’inseguimento di un ladro
(film ad inseguimento). Inoltre il passaggio da un
inquadratura alla successiva Williamson la realizza tramite lo stacco
(e non la dissolvenza – fino 1903) prima che l’azione sia interamente conclusa.
Negli Stati Uniti il film narrativo diventa l’opzione privilegiata intorno al 1903.
Fra i registi che contribuiscono a fare del film di
finzione la principale risorsa
dell’industria cinematografica americana c’è
Edwin Porter .
Il contributo di PORTER è importante perché si muove tra le soluzioni tipiche
del MRP e strategie che prefigurano le
soluzioni narrative del MRI.
Il film più celebre è “La grande
rapina la treno” del 1903, in cui Porter mescola elementi tipici
del cinema delle attrazioni con importanti innovazioni sul piano della
narrazione e in cui c’è la volontà consapevole di raccontare qualcosa
attraverso il montaggio.
Il montaggio cerca di costruire una certa continuità
spazio – temporale tra le inquadrature, ma non riesce ancora a
rappresentare la simultaneità delle azioni con un montaggio alternato. Le inquadrature
spesso esauriscono in se stesse la durata di un scena.
In alcuni casi l’azione si sviluppa attraverso più inquadrature
(fuga dei banditi e l’inseguimento). Nel film c’è un limitato movimento di macchina funzionale al
racconto (panoramica a cercare i banditi quando scendono dal treno). Sono
presenti quindi delle inquadrature
che hanno una funzione puramente narrativa e piani vicini ad una logica mostrativo – attrazionale:
il primo piano del bandito che spara
verso la cinepresa e quindi verso lo spettatore, rientra in questa tipologia, è
un’attrazione che deve in un certo senso aggredire lo spettatore
(l’inquadratura non si integra con lo sviluppo
dell’azione e per questo poteva essere montata o all’inizio o alla fine del
film).
L’EMERGENZA DEL CINEMA CLASSICO
Dopo il 1905 con la nascita del director system e la conseguente centralità del regista
un ruolo fondamentale e decisivo è svolto da GRIFFITH.
Nel 1908 è scritturato dalla Biograph come regista
realizzando oltre 450 film fino al 1913 (lo standard prevalente è il film a una bobina lungo circa 15 minuti).
GRIFFITH
si concentra in
particolare sulle diverse opzioni di montaggio, studia
le risorse drammatiche della profondità di campo, è attirato dal dinamismo
della composizione interna al quadro e dall’attenzione per i dettagli, i primi
piani e per i contrasti di luce.
In particolare si pone due obiettivi :
1) rendere
comprensibili strutture narrative sempre più complesse: tramite il montaggio alternato di Griffith lo spettatore inizia a capire che la successione
tra due inquadrature può esprimere una relazione di simultaneità tra due
azioni.
2) investire il cinema di responsabilità ideologiche e morali: i film di Griffith sono
attraversati da umanitarismo, dall’esaltazione dei valori della comunità,
dal mito della nuova nazione. Il lieto fine
diventa la forma privilegiata della ideologia di riconciliazione.
Anche se Griffith lavora sulle possibilità narrative
espresse dal montaggio non vuol dire che i suoi film
utilizzino già le regole del cinema classico. L’uso del primo piano, per esempio, eccede spesso la sua funzione
narrativa per assumere una valenza simbolica, finendo per far esprimere una
particolare condizione interiore o sociale.
In “La nascita di una nazione”
del 1915, un lungometraggio di 12 rulli per 180 minuti di proiezione, Griffith
pone al centro del film la guerra civile americana (1861-1865). La conclusione
del film presenta il last minute rescue da parte dei
cavalieri del ku klux klan che riportano l’unità.
Nelle sequenze della battaglia di Petersburg vi è un’alternanza di inquadrature tra i fronti opposti, quasi a suggerire un’identità tra gli avversari.
Con il film successivo “Intolerance”
del 1916 Griffith vuole rappresentare il tema dell’intolleranza
attraverso i secoli e per farlo costruisce una struttura narrativa innovativa articolata
in 4 episodi montati in parallelo :
la caduta di Babilonia (da cinema degli anni Dieci – es. Pastrone),
la passione del Cristo (prime tradizioni cinematografiche sulla passione), la
strage di S. Bartolomeo (si rifà alla Film d’Art) e un episodio contemporaneo
(dai temi della disuguaglianza sociale).
Griffith inserisce nel film il modello della storia a suspance, con
l’intensificazione ritmica e drammatica prodotta dal montaggio alternato che mostra la contemporaneità degli
eventi.
Griffith imprime al film un’accelerazione
progressiva fino alla corsa vertiginosa del finale: si ha la sensazione che
le storie tendino a fondersi l’una nell’altra, generando nello
spettatore un senso di angoscia.
L’uso delle didascalie serve per orientare lo
spettatore nella comprensione delle vicende, attraverso la loro differente
impostazione grafica.
Utilizza la profondità
di campo per distinguere i diversi piani d’azione. Usa inoltre la luce per evidenziare dei
dettagli significativi, come per esempio il raggio che
illumina la culla del bambino dondolata dalla madre, ritornello visivo, che
torna più volte, e che rappresenta l’intolleranza attraverso i secoli.
C’è inoltre una concezione ciclica della storia:
vi è il ripetersi delle medesime tragedie.
Dopo
il 1910 aumenta la diversificazione tra il cinema Americano, che predilige
la ricerca su montaggio, e quello Europeo
che cerca di potenziare le risorse espressive della scena non sezionata dal
montaggio soprattutto attraverso la valorizzazione della profondità di campo.
In ITALIA
Il film più rappresentativo, dei kolossal storici
italiani dei primi anni Dieci, è “CABIRIA” di PASTRONE.
L’importanza risiede innanzitutto nella valorizzazione dei poteri della messa in scena, di
portare qualcosa in scena per farlo vedere. La soluzione di messa in scena più
innovativa risiede nell’uso del carrello,
brevettato da Pastrone nel 1912: la funzione più ricorrente è la connessione
all’interno dello stesso piano tra due o più elementi della scena (si
può partire dal piano generale per inquadrare una porzione particolare o
viceversa); in altri casi il carrello serve semplicemente a scoprire e
dilatare la vastità scenografica di un ambiente.
Le singole inquadrature del film aumentano
la visibilità e la dinamicità interna della scena. Lo spazio scenografico
non è più un fondale dipinto bidimensionalmente: le scenografie diventano
reali e ‘monumentali’, vere costruzioni architettoniche protagoniste
dell’inquadratura.
Importanza rilevante ha anche la luce: con
l’utilizzo della lampada elettrica ad arco Pastrone ha la possibilità di
governare con maggior precisione la direzione dei fasci di luce, aumentando gli
effetti di contrasto, le ombre, i volti.
LA MUSICA E IL COLORE NEL CINEMA MUTO
È convinzione diffusa che il cinema muto è
caratterizzato dall’assenza di suoni e colori.
In realtà il film delle origini aveva quasi sempre un accompagnamento musicale e le sue
potenzialità erano accresciute da efficaci tecniche di colorazione della
pellicola.
Inizialmente la musica
di un pianoforte in sala aveva il compito di coprire il fastidioso
ronzio del proiettore; ma la musica in ‘diretta’ aumentava
anche il potere evocativo delle immagini.
Tra il 1900 e il 1905 fanno
la loro comparsa gli ‘imbonitori’,
figure che commentavano al pubblico le immagini rendendole più
comprensibili.
Verso il 1910 inizia, nei locali più signorili, a
comparire l’orchestra
composta da sei, otto elementi, i quali ricorrevano
alle selezioni musicali, ovvero di brani di repertorio validi per ogni tipo
di situazione drammatica.
C’erano poi i rumoristi
che manovrando complicati apparecchi ottenevano effetti sonori
sorprendenti.
Negli anni del cinema muto si moltiplicano anche i
tentativi di colorare le immagini.
Il primo metodo è stato quello della colorazione a mano di ogni singolo fotogramma con un pennellino
(prediletta da Melies).
Dopo il 1906, quando il cinema iniziò ad assumere
dimensioni industriali, si brevettò il sistema à pochoir,
un dispositivo di colorazione meccanica a tampone che consentiva l’impiego di
5,6 colori diversi.
Successivamente verso il 1908 si
inventarono due nuove forme di colorazione: la tintura e il viraggio.
I due sistemi sono accomunati dal principio della monocromia: sul fotogramma si
distribuisce un solo colore.
I colori nel muto avevano principalmente due funzioni:
-
potevano rendere più credibili gli eventi fisici (blu per la
notte, rosso per il fuoco…)
-
accrescevano il valore simbolico di condizioni emotive
particolari.
IL CINEMA EUROPEO
DEGLI ANNI VENTI – Cap. II -
Gli
anni Venti costituiscono uno dei periodi di più forte affermazione del cinema; furono proprio le mancanze del cinema muto a
sollecitare la ricerca di nuove soluzioni e nuove tecniche per arricchire i
processi comunicativi ed espressivi.
-
il cinema sovietico : produce esperienze
complesse di montaggio dialettico,
epico o non narrativo;
-
il cinema francese : effettua pratiche filmiche
caratterizzate da un montaggio ritmico
ed intensivo;
-
il cinema tedesco : lavora sulla figurazione
del visibile e sulla dimensione dell’inquadratura
dinamica.
IL CINEMA ESPRESSIONISTA
Nonostante
la sconfitta bellica, la Germania del dopoguerra
conosce un’affermazione
cinematografica di notevole livello soprattutto grazie ad
un’industria molto efficiente.
In
questi anni c’è inoltre la tendenza delle diverse società a fondersi per dar vita ad una organizzazione
più funzionale per quanto riguarda la produzione e la distribuzione.
Il
cinema tedesco si propone di porre la cultura artistica, architettonica,
teatrale e letteraria alla base del cinema, avvalendosi anche della collaborazione di scrittori, di
drammaturghi, pittori che garantiscono un’interazione continua tra il gusto, le
immagini filmiche e i rispettivi universi culturali.
Il
cinema espressionista tedesco realizza attraverso una valorizzazione
particolare del lavoro di messa in scena una forma espressiva di particolare
intensità.
Tutti
gli elementi della scena ( profilmico) vengono
rielaborati in modo artificiale per affermarne l’incisività e la forza
espressiva: i contorni delle scenografie
sono spesso alterati, irregolari, segnati da una deformazione esplicita e
tendenzialmente irrealista.
Anche i costumi
sono conformi agli spazi e ai personaggi: sono operazioni di stilizzazione
intensiva e deformante del visibile. L’angoscia, il dolore, l’ossessione dei
personaggi sono direttamente impressi nella materia
scenica.
La
recitazione degli attori
riflette questo rafforzamento dell’espressività e rende più forti i gesti, più
sottolineati i movimenti e più marcata la mimica che si avvale di un trucco
molto elaborato.
Notevole
è il gioco di illuminazione ed oscurità: il cinema
espressionista scompone il visibile*
attraverso l’uso intenzionale di una luce fortemente contrastata mediante la
contrapposizione di luci e ombre e di settori di luce ricavati all’interno di
spazi bui. Ma questo non è soltanto un modo di vedere ma caricandosi di implicazioni
simboliche diventa anche una visualizzazione della lotta tra il bene e il
male.
Il
montaggio non è mai troppo
rapido in quanto deve permettere all’immagine di
essere pienamente vista dallo spettatore. I montaggi alternati e i raccordi
sono effettuati con progressiva abilità segnando un passaggio verso la
flessibilità e la pienezza della messa in scena.
È
un cinema che valorizza il piano più della successione delle
inquadrature, e i suoi elementi
figurativi, la ricchezza delle componenti
visive, informative ed emozionali
della scena più della velocità d’azione.
I
personaggi del cinema
espressionista tendono disperatamente verso un obiettivo senza
raggiungerlo o violano le leggi e le
regole del vivere in nome di un ideale da cui non possono liberarsi.
È
un cinema dell’immaginario che
mette in scena la debolezza e la fragilità del soggetto e che propone figure
del genere fantastico come vampiri, cloni o sonnambuli.
L’affermazione
del cinema espressionista è legata al successo di “Il gabinetto del dottor
Caligari” del 1920 di Robert WIENE,
(con la sceneggiatura di Mayer e la scenografia di Warm) anche se già negli
anni Dieci erano stati realizzati film sul genere fantastico che potrebbero essere considerati come antecedenti
all’espressionismo.
Il
film :
narra la storia di un ciarlatano da fiera, Caligari, che ipnotizza un
sonnambulo, Cesare, per fargli compiere degli omicidi, finché viene smascherato
nella sua doppia veste di direttore dell’ospedale psichiatrico e di assassino. Ma alla fine si scopre che il narratore è in cura proprio in
quell’ospedale e che si era inventato tutto.
L’ultimo
sguardo ambiguo del direttore lascia tuttavia una sorta di dubbio, come
rappresentazione della difficoltà a percepire sino in fondo la verità, mettendo
in discussione la realtà stessa delle cose.
Il
film punta a distorcere la realtà e gioca sull’ambiguità degli interni e degli
esterni.
Il
film è importante soprattutto per le scenografie
irreali e deformate (bidimenzionali) che servono per esprimere una
“dimensione allucinatoria” e ossessiva, degli spazi irregolari, che disorientano lo spettatore, di giochi
di luci ed ombre e per la ricchezza
visiva delle immagini che mostrano una visione angosciata e alterata
del reale.
Caligarismo : rappresenta un cinema
“grafico” evidenziato da un’esuberanza scenografica e prevalenza di codici
teatrali in cui l’autore reinventa il mondo
attraverso la deformazione della realtà.
L’ARTE DELLA MESSA IN SCENA: MURNAU e LANG
Murnau: “Nosferatu il vampiro”
del 1923 : il castello, con le architetture ogivali ed
i passaggi oscuri rappresenta uno spazio dove si nasconde il mistero. La nave
invasa dal vampiro è una sorta di veliero fantasma in cui le vele e gli alberi
sono lo scenario della presenza del male. La città quasi deserta rappresenta un
cimitero urbano molto suggestivo, amplificato dai
contrasti di luci ed ombre. Tutti gli elementi visivi sono immersi in un’atmosfera cromatica segnata da un
lento, progressivo al chiaroscuro.
Lo
spazio e le inquadrature sono organizzati attraverso un’integrazione atmosferico – tonale delle architetture, dei personaggi e
degli oggetti.
Lang : “Metropolis” del
1927 : la ricerca di Lang è concentrata sulla sperimentazione tecnica e sulla
dimensione visiva. Emerge infatti un gusto per l’espressionismo
geometrico ed ipertecnologico che fanno di Metropolis un film monumentale
ed un’esperienza di ricerca sulle potenzialità espressive e spettacolari del
cinema.
La
messa in scena presenta delle determinate scelte estetiche:
-
è presente un’interazione di tutti gli elementi del profilmico
e del filmico;
-
vi è la riduzione agli aspetti essenziali al
fine di costruire uno spazio rigorosamente strutturale;
-
c’è da parte di Lang la capacità di dinamizzare le
strutture geometriche costruite;
-
visivamente c’è un sistema di composizione fondato sul rapporto
pensiero / immagine.
Un
aspetto fondamentale della messa in scena
di Lang è la volontà di rappresentare degli insiemi visibili immediatamente
delineati nella loro pienezza. Egli vuole mostrare
subito il centro reale e le linee di forza dello spazio e questo tramite l’uso
di campi lunghi o totali o comunque di ampie
inquadrature legate all’esigenza di far vedere il più possibile e di mostrare
una visibile struttura. Per questo motivo Lang non usa in modo complesso il
gioco di luci ed ombre: la visione deve essere netta e ampia, senza
mascherare il campo del visibile*
(in netta opposizione con l’espressionismo!)
IL CINEMA SOVIETICO DEGLI ANNI VENTI
In
questi anni c’è lo sviluppo di una ampia
sperimentazione interna alla rivoluzione comunista. Vi è
infatti il cosiddetto ‘Ottobre
delle arti’ ossia la produzione artistica correlata alla Rivoluzione
d’Ottobre.
Nel
progetto dell’Ottobre delle arti confluiscono:
-
da un lato le teorie del cubismo – futurismo ed il
progetto di avvento dell’immaginario della modernità;
-
dall’altro le esperienze del teatro sperimentale;
-
e poi ancora le teorie che ricercano nuove forme di
produzione culturale legate al proletariato.
Queste
nuove teorie si riversano prima nel teatro e poi nel cinema: infatti
registi come Ejzenstejn si formano nel teatro e portano nel cinema la varietà
di un’esperienza realizzata a diretto contatto con il nuovo pubblico di operai.
L’intervento
statale nell’industria cinematografica sovietica consente lo sviluppo di un
cinema articolato, in cui le case di produzione legate allo Stato, danno vita a un cinema di educazione e di propaganda ed anche ad un
cinema di ricerca legato al programma dell’Ottobre delle arti.
Lev Kulesov dirige la scuola statale di cinematografia, compiendo alcuni
esperimenti fondati sul montaggio
cinematografico (effetto kulesov).
Per
Ejzenstejn l’arte è una pratica
sociale capace di organizzare idee e modi di pensare e di influenzare
politicamente il pubblico. Ne il “montaggio delle attrazioni” sottolinea la capacità di creare una
comunicazione capace di colpire lo spettatore per una presa di coscienza
diretta di quest’ultimo. E il montaggio consente la
trasformazione dei materiali in strutture comunicative ed espressive.
La
pratica filmica di Ejzenstejn comprende: “Sciopero”
del 1925, “La corazzata Potemkin” del
1925 e “Ottobre” del 1928 nel quale è presente l’esempio più
radicale di montaggio intellettuale,
costituito dalla sequenza degli idoli in cui mostra una serie di piani di
simboli religiosi. (pag.59)
Dziga Vertov esalta le potenzialità della macchina da presa come cineocchio molto più perfetto
dell’occhio umano e dello sguardo meccanico. Realizza un cinema non recitato,
costituito da immagini-fatto e imponendo il linguaggio degli eventi nella loro
immediatezza contro il linguaggio dello spettacolo. La presentazione del mondo
è analisi razionale del reale. Il montaggio è la totalità del processo di realizzazione del film, ossia un’esperienza complessiva di
selezione, verifica e organizzazione visiva del mondo.
In
“L’uomo
con la macchina da presa” del 1929 vi è la presenza di montaggi
rapidi e ritmici, composizioni anomale all’interno
delle inquadrature. Il tutto garantisce una varietà della percezione del mondo
visibile e mostrano le potenzialità della messa in scena.
VERTOV e RUTTMANN collocano al centro dei loro film i ritmi frenetici delle
grandi città, dominate dalla meccanizzazione
dell’esistenza umana. Soltanto attraverso una complessa opera di montaggio le immagini riprese possono acquisire un senso.
LE CINEMATOGRAFIE MARGINALI
In
“La
passione di Giovanna D’arco” del 1928 c’è una estrema
ricchezza dei piani che esalta un montaggio dinamico, fatto di inquadrature
molto brevi, correlate per contrasto. Insistenti sono i primi piani ravvicinati
di Giovanna e dei giudici, impegnati in uno scontro tragico e violento. I primi
piani di Giovanna sono spesso decentrati e obliqui, realizzati dall’alto per sottolineare la sua sopraffazione verso i giudici.
IL CINEMA D’AVANGUARDIA
Nasce
in opposizione al cinema narrativo -
rappresentativo.
L’avanguardia
intende disgregare la connessione tra rappresentazione codificata del reale e
prodotto filmico; ma accanto al momento della rottura, essenziale è il momento
dell’invenzione dell’altro.
Il
filo continuo dell’intensità
costituisce la condizione di esistenza del cinema
d’avanguardia.
Le
esperienze filmiche d’avanguardia si caratterizzano per il rifiuto della
dimensione tecnologica e l’affermarsi di una dimensione artigianale.
Eggeling , pittore svedese, realizza “Diagonal
Symphonie” del 1919-1924 che si articola attorno al dinamismo della
linea e alla modificazione graduale delle forme visive create dalla linea
stessa.
Walter
Ruttmann pensa ad una nuova arte che
sia pittura nel tempo ed esprima lo spirito della
modernità. Un film astratto deve utilizzare le infinite possibilità di impiego della luce e della oscurità, delle linee rette e
curve, della quiete e del movimento.
Variamente
legati all’area dada sono due film: “Le retor a la raison” del 1923
di Mun Rey nel quale appaiono
riprese in esterno, immagini di una modella nuda, ed anche puntine da disegno,
sale e pepe disseminati casualmente sulla pellicola per avere un risultato di
un insieme di materiali caratterizzati dal caos e dal rifiuto della forma.
Poi
c’è “Entr’acte” di Renè Claire del 1924. Il film è uno spazio in cui viene visualizzato un modello di scrittura fondato
sull’eterogeneità e la discontinuità, sull’arbitrario e il non-sense.
Diverso
è “Ballet mècanique” del
1924 di Fernand Leger : il film riflette l’attenzione
prevalente agli oggetti ed alle dinamiche metropolitane come immagini
privilegiate della modernità. Si esalta la rapidità del montaggio ed il ritmo
visivo e insieme il gigantismo degli oggetti che le riprese ravvicinate possono
permettere.
Film
prettamente surrealista sono sicuramente “Un
chien andalou”
del 1929 (prevale la dimensione fantasmatica e le
ossessioni psichiche dominano la scena. Si rivela come un film dedicato al
difficile processo di costituzione dell’identità sessuale del giovane
protagonista, attraverso le avventure discontinue del desiderio e differenti
forme di regressione) e “L’age d’or”
del 1930 (che intreccia caoticamente dinamiche
dell’eros e della violenza all’interno di 6 episodi diversi) realizzati da Luis Bonuel.
In
entrambi i film le ossessioni del desiderio si
manifestano mostrando ora la forza ora la fragilità, all’interno di figure di
oggettivazione dell’inconscio di indubbia intensità.
Bonuel
si dimostra un regista capace di segmentare le immagini e di costituire un
tessuto di ossessioni visivo – dinamiche che rivelano
la ricchezza irrazionale dell’inconscio e aprono un nuovo orizzonte per il
cinema.
IL CINEMA AMERICANO DEGLI ANNI VENTI – Cap III
Tra
la fine della prima guerra mondiale e la grande crisi
del 1929 c’è il consolidamento dell’industria cinematografica hollywoodiana: si
definisce un vero e proprio sistema che si impone a livello internazionale
diventando così un modello universale, veicolo di miti, ideologie e
iconografie.
Le
premesse che portarono alla crescita dell’industria cinematografica americana riguardano la particolare situazione degli
Stati Uniti in questo periodo.
-
negli anni della prima guerra mondiale gli USA si pongono
come leader dell’economia mondiale;
-
nel dopoguerra si afferma una politica di liberismo
estremo che consente ai prodotti cinematografici americani di imporsi sui
mercati stranieri;
-
in generale gli anni Venti corrispondono agli anni
dell’espansione economica ed a una certa apertura sul piano del costume e della
morale corrente (prosperità che non include tutte le fasce sociali es.
immigrati, contadini e minatori..).
Per questo i cosiddetti “ruggenti anni Venti” sono
caratterizzati da contraddizioni e squilibri (proibizionismo).
Alla base della crescita del cinema Hollywoodiano vi
è anche una grande disponibilità di capitali. Negli
anni Venti infatti gli investimenti finanziari
nell’industria del cinema registrano un notevole aumento e la capacità di esportazione
sui mercati esteri aumenta in modo esponenziale.
Grazie a ciò il cinema Hollywoodiano stabilisce una
precisa strategia produttiva : vi è la costruzione di un’organizzazione verticale
che comprende l’intero ciclo produttivo fino alla distribuzione dei prodotti.
Le principali case di produzione acquistano o
costruiscono sale cinematografiche in cui distribuiscono direttamente i loro
film. Tali sale si caratterizzano per il fasto e il design delle loro
architetture, permettendo ad un pubblico popolare di accedere a un lusso letteralmente favoloso.
A gestire questo apparato
spettacolare erano le tre grandi case di produzione : la Paramount – publix
, la Metro
Goldwin Mayer e la First National.
Accanto ad esse si stagliavano le case di produzione
minori come la Universal, la Fox e la Warner Brothers. C’era poi la United
Artists creata nel 1919 da attori e registi, come Chaplin e Griffith, che miravano però a produrre e distribuire i
propri prodotti in modo indipendente.
A causa delle contraddizioni che caratterizzano gli
anni Venti, nasce l’esigenza per le grandi case di produzione di controllare
sia l’alone trasgressivo che circonda la vita dei divi, sia i contenuti stessi dei film, talvolta incentrati su soggetti scabrosi
come gli eccessi provocati dal proibizionismo o l’adulterio (presente per es.
in “Mariti ciechi” di Stroheim).
Per sfuggire ai controlli della censura federale
l’industria cinematografica decide di avviare una politica di moralizzazione di
se stessa: per questo i più importanti studios si associno per istituire nel
1922 la Motion Picture Producers and Distributors Association, con
lo scopo di stabilire una serie di misure per regolamentare
il contenuto morale dei film. A capo dell’organizzazione viene
chiamato il repubblicano William Hays
che condusse nel 1934 ( fino all’inizio degli anni ’60) ad un vero e proprio codice di produzione.
Il codice stabilisce una serie di standard morali
per la rappresentazione i tematiche sessuali, scene di
violenza o di crimine, basandosi su tre
principi fondamentali:
-
rispetto della legge, della natura e degli uomini;
-
condanna del crimine e dell’immoralità;
-
rappresentazione del male solo se
giustificato dalle necessità drammatiche dell’azione.
Per prevenire errori e trasgressioni Hays istituisce il Production
Code Office che affianca i produttori dall’ideazione del film al montaggio
finale.
Per tutti gli anni ’30 e ’40 il potere del PCO è
assoluto, ma verrà messo in discussione dopo la
seconda guerra mondiale quando diversi produttori inizieranno a rifiutarlo.
Charlie Chaplin nasce a Londra nel 1889.
Figlio di due sfortunati artisti di varietà, inizia come mimo, illusionista e
acrobata ad esibirsi in teatri di periferia.
Nel 1914 inizia a lavorare per la casa di produzione
cinematografica Keystone
di Max Sennett. Qui Chaplin avvia la caratterizzazione del personaggio Charlot sia sul piano
della recitazione mimica, sia su quello della maschera costituita dalla
giacca del frac striminzita, pantaloni troppo larghi, scarpe troppo lunghe, la
bombetta ed il bastone. Ciò produce un eleganza paradossale
discordante con la povertà espressa dalla condizione degli abiti. Il suo
costume quindi ha un rapporto dialettico con il personaggio che interpreta.
Charlot è un vagabondo, un disadattato che indossa abiti della borghesia. Il
suo personaggio produce una “comicità malinconica”, per cui
la contraddizione tra il suo desiderio e la realtà è immediatamente visibile. Per quanto riguarda la mimica, la sua espressione che muta
continuamente enfatizza il suo essere escluso, fuori luogo, mai aggressivo e
sempre remissivo ed in difficoltà. La malinconia che produce il suo
personaggio è dovuto anche alla sua incapacità di
distaccarsi dalla realtà pur essendo in difficoltà.
Charlot nutre un profondo desiderio di integrazione con la comunità. Questo desiderio sarà
realizzato solo nel sogno (come in “La febbre dell’oro” in cui
riesce a divertire la ragazza che ama, facendo il famoso balletto delle
forchette), ma nella realtà egli risulterà sempre un
emarginato.
Chaplin vuole che i suoi film si svolgano in un
preciso contesto storico, per poter esprimere una
critica sociale, un momento di riflessione politica. Così egli riesce a fornire
un’analisi critica della società americana: in “Charlot soldato” Chaplin
contraddice la politica americana di quegli anni impegnata nel conflitto
bellico esprimendo pacifismo ed anarchismo, la sua critica toccherà il sistema
capitalistico in “Tempi moderni”, la dittatura nazista ne
“Il
dittatore”. Nel finale dei sui film, Charlot
si ritrova da solo, senza avere un riscatto, anzi è sottolineata ancora una la
sua diversità nei vari contesti; tale chiusura esprime una malinconia di fondo
e spesso c’è un iris che racchiude la sua figura che enfatizza la sua
emarginazione o un primo piano che punta la sua espressione facciale.
Keaton nasce in una famiglia di
comici di varietà che maturano nel genere burlesque, un genere dinamico ed
energetico giocato sull’accumulo continuo di gags e
trovate comiche con ritmo incalzante.
Il suo apprendistato teatrale dura circa vent’anni e
consente al giovane Keaton di perfezionare il suo stile di recitazione e la sua
mimica.
Esordisce nel cinema nel 1917, a fianco del popolare
“Fatty” Arbuckle. Il lavoro in coppia con Fatty,
costruito sulla contrapposizione fisica dei due (grasso ed infantile Fatty,
esile, triste e chiuso Buster), consente a Keaton di
sperimentare varie possibilità comiche affermandosi nel giro di pochi anni tra
i migliori comici americani. Fin dai primi film, tra cui “Come vinsi la guerra”
del 1926, la comicità di Keaton si fonderà su uno stile basato sulla
sottrazione mimica, che consiste in un’interpretazione facciale inespressiva,
caratterizzata dalla fissità dello sguardo (mentre tutto si catapulta intorno a
lui) che produce un effetto comico.
Il suo è un volto di pietra, una maschera di apparente imperturbabilità di fronte agli eventi, che
esprime una visione del mondo lucida e distaccata che evidenzia il senso di
alienazione vissuto dal personaggio.
Keaton è caratterizzato da una recitazione
controllatissima, e da doti acrobatiche che gli permettono di destreggiarsi nel
mondo oggettuale e di compiere vari numeri pericolosi senza una controfigura.
Keaton punta molto sulla location (contesto spaziale)
come palestra per muoversi e creare momenti comici. L’abilità e l’arguzia del
personaggio portano a chiudere una situazione di massima confusione, con
ordine, in happy end.
A differenza di Chaplin i film di Keaton non si
svolgono in un momento storico preciso: egli mette in scena una narrazione
plurifocale, cioè che si svolge attorno a più
personaggi (rispetto ai quali lui è superiore) contestualizzati in epoche
diverse. Keaton inaugura l’effetto “palla di neve” per cui
un incidente cresce fino a diventare una situazione incontrollabile.
La sua carriera si conclude
con l’avvento del sonoro, poiché è profondamente legato ai canoni espressivi
del cinema muto.
Eric von Stroheim , insieme a Chaplin, muove
uno sguardo critico nei confronti della realtà umana e sociale del periodo,
cogliendone le contraddizioni e le inquietudini. Di nascita viennese Stroheim
giunge in America nel 1909 entrando in contatto con il mondo cinematografico. Divine assistente di Griffith, da cui trae la recisione
nella caratterizzazione dei personaggi femminili ricorrendo a dettagli ed a piani
ravvicinati.
La poetica di Stroheim rimanda alla cultura
mitteleuropea tra 800 e 900, tra decadentismo e naturalismo.
La crisi di valori influenza la personale visione
del mondo di Stroheim, fatta di ascendenze decadenti e di deformazione espressionista
che arriva fino all’orrido. Nei suoi film c’è una generale propensione a
cogliere il lato malsano, perverso, ipocrita dell’uomo, colto in determinate
strutture sociali ed ambientali.
“Rapacità” del 1923-24 è l’adattamento di un romanzo
naturalistico. C’è la rappresentazione estrema dell’avidità che via via corrompe e distrugge la coppia dei protagonisti.
Attraverso un realismo spinto fino alla deformazione grottesca, Stroheim
evidenzia la natura bestiale e pulsionale
dell’avidità umana, che diventa emblema di tutti i vizi e di tutte le
perversioni.
“Femmine folli” del 1922, un dramma a
fosche tinte, racconta le trame di un falso nobile ufficiale russo,
(interpretato da se stesso) e delle sue complici, altrettanto false nobildonne,
in cui l’immoralità dei personaggi è condotta al limite
(per es. l’ufficiale russo cerca di sedurre una ragazza ritardata).
E’ proprio
con questo film che Stroheim diviene ad Hollywood un autore maledetto, i cui film verranno
sempre più mutilati e rimaneggiati in fase di montaggio, dando luogo a versioni
che si allontanano dai suoi progetti iniziali. Tuttavia
sono conservate una violenza ed una crudezza inaudite e sono messe in scena
perversione e pulsioni sessuali assai scandalosi. I suoi film costituiscono una
rappresentazione della malsanità e della corruzione umana.
Al destino di regista maledetto si accompagna quello
di attore mitico sia nell’interpretazione dei propri
personaggi, sia in quello dell’ufficiale tedesco de “La grande illusione” di Renoir del 1937.
IL CINEMA AMERICANO CLASSICO,
1930 \ 1960 - Cap. IV
L’introduzione
del sonoro coincide con un momento di grave crisi economica generale. Il
crollo di Wall Street del 1929 determina una profonda
depressione che si protrae per tutti gli anni Trenta, per poi risolversi negli
anni della seconda guerra mondiale.
Per
il cinema Hollywoodiano in realtà questi anni equivalgono ad un momento di
fondamentale sviluppo, legato al contesto della
politica attuata da Roosvelt che da un lato favorisce concentrazioni verticali
e monopoli, dall’altro appoggia l’organizzazione sindacale degli operai.
L’attuazione
da parte di Roosvelt di una politica di sostegno all’industria favorisce
la ripresa dell’industria dello spettacolo cinematografico; ma il primato è dovuto anche all’alto standard qualitativo che la solidità
dell’industria garantisce ai prodotti.
La
figura del produttore acquista un’importanza determinante,
rispetto al periodo del muto, nel controllo assoluto di tutti gli aspetti della produzione.
La
riproduzione tecnologica del suono e la sua sincronizzazione
spingono lo spettacolo cinematografico verso una completa meccanizzazione e standardizzazione.
Comunque l’introduzione del sonoro completa quella ricerca
che sta alla base della narrazione e del linguaggio propri della produzione
hollywoodiana, integrandosi in pochi anni nei modi di produzione e
rappresentazione.
IL CINEMA CLASSICO 1930-1945 : PRODUZIONE \
GENERI \ STAR SYSTEM
Lo
studio system, all’inizio
degli anni Trenta, è dominato dalle case di produttrici maggiori, dette Majors, come la Paramount, l’MGM, la Fox, la Warner e la neonata RKO, e da quelle
minori, le Minors, come l’Universal,
la Columbia e la United Artists.
Majors
e Minors si dividono il mercato secondo una strategia precisa : le prime alimentano con i film di maggior impegno
produttivo le sale più prestigiose, mentre le seconde si rivolgono alle sale
secondarie.
Mentre
il funzionamento dello studio system è standardizzato, i prodotti sono in realtà diversificati
secondo lo specifico stile della casa di produzione, definito come house
style. Il logo dello
studio sigla il film con una ‘firma’ che serve ad orientare le aspettative del pubblico rispetto al genere, alla qualità,
ai divi.
In
questo sistema rientrano pure necessità legate al controllo delle sale:
ogni Majors controlla una determinata categoria di sale e quindi si rivolge ad
un certo tipo di pubblico.
I
generi cinematografici
classici risultano strettamente legati a esigenze di
pianificazione industriale. Il meccanismo dei generi si amplia anche in relazione alle nuove possibilità offerte dal sonoro: la
RKO con il musical, l’MGM con la
costruzione di universi fantastici
(“Il mago di Oz” del 1939), la Universal nella
produzione di horror.
Gli
anni Trenta vedono anche il nascere di gangster
movie, legato all’attualità del crimine organizzato cresciuto negli
anni Venti con il proibizionismo, dove il disagio della società americana fa da
sfondo alla storia.
Dopo
l’entrata in guerra degli Stati Uniti, la produzione di genere si mobilità in favore della causa bellica.
Il
divismo è parte della logica
industriale che tende a classificare i prodotti in tipi e categorie definiti.
Il
personaggio nel racconto cinematografico classico è indissociabile da ciò che
il divo si porta dietro le precedenti interpretazioni.
IL DECOUPAGE CLASSICO
Il
cinema classico americano attua pienamente il passaggio da un cinema della “mostrazione”, che voleva meravigliare e attrarre lo
spettatore, a un cinema che ha come obiettivo
principale la narrazione di una storia.
E grazie all’introduzione del sonoro, aumenta
l’effetto di realtà del racconto.
Per
rendere verosimile il racconto è necessario che esso dia un’impressione di
continuità e naturalezza, che possono esistere solo se
i processi di scrittura sono invisibili e se stacchi e rotture sono occultate:
per permettere che lo spettatore si immedesimi nella storia, infatti, è
necessario che egli sia inconsapevole del fatto che la realtà dello schermo sia
illusoria. Inoltre è necessario che egli perda le
proprie coordinate spazio-temporali e ciò avviene attraverso il buio nella
sala.
Il
decoupage classico è quindi una modalità di scrittura filmica che vuole essere invisibile (Bazin), che vuole nascondersi agli occhi dello spettatore.
Per permettere ciò esistono delle precise regole di
scrittura e rappresentazione:
-
non si deve mostrare la troupe a lavoro
-
gli attori non devono guardare verso la macchina da
presa ( cioè verso lo spettatore)
-
gli ambienti ricostruiti in studio devono essere il più
reali possibile
Ma è soprattutto la discontinuità del montaggio a
dover essere occultata. Per questo motivo vengono
usati dei raccordi* che
aiutano ad attenuare i tagli, mantenendo elementi di continuità tra
un’inquadratura e l’altra, in modo che ogni stacco sia meno evidente e brusco.
In
poche parole il decoupage vuol
dire sezionare una scena in tante inquadrature per poi ricomporle con il
montaggio prestando attenzione ai raccordi.
IL WESTERN DI JOHN FORD
Il
genere western nasce negli USA con il cinema
narrativo.
Gli
argomenti trattati sono la conquista dei territori
dell’ovest e la nascita della nazione americana; la progressiva affermazione
della cultura e della civiltà sulla natura, vista come dimensione selvaggia da
civilizzare.
Questi
temi tuttavia non sono privi di ambiguità e sfumature
in quanto talvolta si trova il capovolgimento assoluto di questi valori (specie
nelle opere degli anni ’70 che vedranno il western come espressione della
cultura imperialista e razzista americana).
Nel
1939 esce “Ombre rosse” di John Ford, un film che segna il
ritorno di Ford al genere western. Negli anni Trenta, infatti, il genere aveva
avuto una deriva verso il musical, dovuta ad una logica produttiva che voleva
sfruttare il sonoro nella storia (anche i cowboys
cantavano).
Il
film racconta la storia del viaggio di una diligenza minacciata dagli indiani.
La diligenza è espressione di valori della civiltà, in cui si confrontano
diverse personalità, in opposizione con lo stato di natura selvaggio
rappresentato dalla minaccia indiana.
John Ford riesce ad esprimere una propria poetica
all’interno dei canoni e delle regole dello studio system: mentre generalmente nei film western le donne
brune sono figure negative in opposizione a quelle bionde, positive
e legate all’eroe, in questo film vengono stravolti questi ruoli , invertendo
le parti.
La
forte opposizione tra civiltà e natura selvaggia qui è rimaneggiata poiché ai
luoghi stanziali è conferito un senso di ipocrisia,
falsità e corruzione (Lordsburg appare come la città
del vizio e della corruzione).
La
figura del cowboy viene anch’essa stravolta: Ringo,
infatti, si presenta senza cavallo e inoltre ha un passato incerto. Egli non è
il solito cowboy che compie gesta eroiche, ma ha qualcosa da farsi perdonare.
L’approfondimento
psicologico sui singoli personaggi rappresenta un distanziamento di Ford
dai falsi perbenismi e dal falso concetto di rispettabilità che sono intrinseche nella società americana di quegli anni.
ORSON WELLES E ‘4° POTERE’
Nasce
in una famiglia benestante che lo mette subito in contatto con degli
intellettuali. Ha una vita piena di stimoli culturali e di viaggi: a 16 anni
inizia a Dublino la sua carriera teatrale; quando torna a Broadway
fonda la Mercury Theatre,
una compagnia teatrale innovativa perché metteva in scena dei testi classici,
soprattutto di Shakespeare, rivisitati in chiave
contemporanea, con abiti e in luoghi della modernità. Inoltre mette in scena delle figura di tiranni con l’intento di far riflettere sul
presente.
Gli
attori di questa compagnia, che dura dal ’37 al’39, rimarranno con Welles anche
in seguito (nell’esperienza radiofonica ed in “4° Potere” del
1941).
Nel
1938 Welles ‘trasporta’ la sua compagnia teatrale in radio; egli crede che la radio
sia un mezzo molto importante perché vivifica la voce e rende un personaggio
più vicino, rispetto allo schermo. Essa da un senso di presenza concreta di chi
parla in quanto è presente la componente di
simultaneità vocale. Inoltre vi è un certo fascino nell’ascoltare una voce
senza corpo. Così la notte di Halloween del 1938
adatta una storia fantastica attraverso una radio-cronaca diffondendo un’allarme
nazionale con l’annuncio dello sbarco dei marziani sulla terra.
Attraverso false testimonianze anche di autorità
importanti, egli riesce a portare il panico collettivo. Egli utilizza
l’elemento di forza della radio, ossia la simultaneità, in maniera esponenziale
facendo aumentare notevolmente l’ascolto. Dopo questa trovata
è chiamato ad Hollywood, in quanto è riuscito a creare un consumo di
massa. Nel 1939 firma un contratto con l’RKO che gli
lascia un autonomia quasi completa.
Il
primo film che egli intende fare è ‘Cuore di tenebra’, mai non verrà realizzato. In seguito riesce a produrre “4°Potere”,
film che sarà osteggiato da una parte di intellettuali
tanto che l’uscita del film viene rinviata.
Alla
sua uscita il film risulterà un successo per la
critica ma un clamoroso insuccesso di pubblico (film non adatto ad un pubblico
medio).
Il
suo modo di narrare eccessivo lo portano ad essere
licenziato subito dopo il film “L’orgoglio degli Amberson”
che verrà poi distribuito in una versione manipolata dalla casa produttrice.
Per
quanto riguarda le vicende produttive, questo film fu
girato nella massima segretezza perché smascherava le brutture del miliardario Herst, ma anche perché la struttura del film era
‘controcorrente’, quindi Welles temeva una censura preventiva.
“4°Potere” presenta una struttura complessa poiché affronta il racconto della
vita di un uomo dalla sua infanzia alla sua morte, ma lo fa in modo
rivoluzionario e destabilizzante: costruisce il film su dichiarazioni di
persone che nella loro vita hanno avuto a che fare con Charles
Foster Kane.
La
continuità temporale della sua vita è rimaneggiata dai personaggi
attraverso il flashback (il
ricordo visualizzato, molto più difficile da mettere in discussione rispetto a
quello verbalizzato); quindi è difficile per lo spettatore ricostruire la
storia attraverso questi frammenti restituiti dalle diverse testimonianze.
Il
motore di tutto il film è l’inchiesta avviata dal giornalista Thomson, sul
significato della misteriosa parola ‘Rosebud’ pronunciata da Kane in punto di morte. Ciò
che riuscirà a raccogliere il giornalista sarà solo un
insieme di frammenti, esprimendo ,quindi, il tema della relatività della
verità e dell’impossibilità di giudicare un uomo.
Kane
in punto di morte sussurra la parola ‘Rosebud’ in un primo piano sonoro (si sente ad un livello audio più forte una
parola appena sussurrata), udibile solo dallo spettatore grazie
all’avvicinarsi della macchina da presa (ma sarà su questa parola che si
svilupperà l’inchiesta di Thomson). Solo lo spettatore saprà che tale parola è
associata ad un slittino d’infanzia (che
rappresenta il suo mondo iniziale – dimenticato- e che verrà poi cambiato con
un altro – nuovo slittino- quello del capitalismo).
Questo
film è quindi un enigma che si risolve tra autore e spettatore.
L’utilizzo
del cinema permette di fare un patto d’intesa con lo spettatore, mentre tutti
gli altri personaggi della storia non faranno altro che cercare di depistare lo
spettatore con altre possibili soluzioni interpretative.
Mentre il cinema classico punta a fornire una versione
lineare dei fatti, “4° Potere” si
presenta come un film ambiguo, che non dà un'univoca interpretazione,
elementi tipici di quello che sarà il cinema moderno.
In
“4° Potere” l’ambiguità è legata al tipo di comunicazione impostata tra autore
e spettatore e anche al modo in cui viene presentato
Kane. Nella sua personalità si trova il motivo del doppio: egli viene descritto come una persona generosa e tiranna, onesta
e prevaricatrice. È ripreso con immagini che lo fanno sembrare più grande (in
cui i soffitti sembrano schiacciarlo), o più piccolo (pag. 56 e 94 del
manuale). Le mogli sono due così come le slitte.
Nella
realizzazione del film Welles privilegia in
particolare:
-
le riprese in profondità
di campo, in cui tutti gli elementi articolati su più piani distinti sono
messi a fuoco. L’articolazione dell’inquadratura su diversi livelli di
profondità risponde ad una precisa logica narrativa: gli elementi che
compongono ogni livello hanno un significato ben preciso (es. pag. 211 del
manuale). A differenza del decoupage
classico, in cui il regista impone il proprio decoupage, qui è proprio lo spettatore
a potersi ritagliare in tutta libertà il proprio decoupage. Secondo Bazin la profondità di campo pone lo spettatore in un
rapporto con l’immagine più vicino a quello che egli ha con la realtà.
Tuttavia la profondità di campo è costruita e
articolata secondo una volontà drammatica ben precisa che indirizza lo
sguardo dello spettatore su precisi elementi dell’inquadratura (come per es.
dialoghi, voci, disposizione di oggetti o personaggi,
e soprattutto anche tramite l’uso dell’illuminazione),
tanto che in essa si ritrova un “montaggio
interno”, cioè una forma di montaggio che non si costruisce a partire dal
rapporto tra più inquadratura, ma all’interno di un unico piano. Il montaggio infatti non altro che la messa in relazione di due o più
elementi che può esserci quindi anche all’interno di una singola inquadratura.
-
il piano
sequenza per lo più in combinazione con la profondità di campo.
Entrambi queste soluzioni del discorso aprono la
strada al cinema moderno.
HOLLYWOOD DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE : 1945 - 1960
Anche
se gli Stati Uniti escono dalla guerra in condizioni di prosperità, la politica
di contenimento dell’influenza sovietica attuata dal presidente Truman e lo
scontro armato in Corea a fianco dei sud coreani contro il nord comunista
(1950-1952), hanno importanti ripercussioni sulla
società americana.
Il
timore di un’espansione comunista porta ad un clima di sospetto e ad una
vera persecuzione contro chiunque possa essere
coinvolto in presunte attività antiamericane.
Questo
clima coinvolge anche Hollywood dove si arriva alla compilazione di una vera e
propria lista nera dei registi : se ad es.
Chaplin è costretto all’esilio in Europa, altri registi, presenti nella lista
nera, per evitare l’allontanamento da Hollywood preferiscono denunciare i loro
colleghi.
La
produzione cinematografica accoglie nuove tematiche,
o rivede le tradizionali impalcature dei generi, dimostrando una maggiore
attenzione ai problemi sociali o a drammi dai risvolti realistici, mettendo
sostanzialmente in crisi il sogno hollywoodiano.
Ed
è proprio il contesto sociale e politico degli Stati
Uniti che porta al declino dello studio system, legato a due fattori
principali:
·
da un lato l’intervento di misure legali abbatte il
sistema di integrazione verticale su cui si basava il potere degli studios; nel
1948 la Corte suprema dichiara la fine dell’oligopolio hollywoodiano ( dopo che
nel 1938 era stata intentata una causa contro le 8 Majors per violazione delle
leggi antitrust). Così potendo accedere a nuove sale
più grandi gli studios minori iniziano a produrre film ad alto budget e si
moltiplica la produzione indipendente;
·
dall’altro lato sono anche ragioni socioculturali a
portare al declino dello studio system: si
viene a formare nel dopoguerra un ampio fenomeno di insediamento
suburbano che assottiglia il pubblico delle sale cittadine e in particolare si
prepara la grande diffusione della televisione.
IL CINEMA EUROPEO DEGLI ANNI TRENTA
E IL REALISMO POETICO
FRANCESE – Cap. V
Negli
Stati Uniti la transizione dal muto al sonoro si conclude
nel 1929.
In
Europa la nuova tecnologia si sviluppa più lentamente (a causa
dei costi per la riconversione delle strutture produttive e anche perché non si
disponeva degli ingenti capitali hollywoodiani) e in
tempi diversi:
-
in Germania e Gran Bretagna il passaggio si conclude
nel 1931;
-
in Francia e Italia il processo si compie nel corso
della prima metà del decennio;
-
mentre in Unione Sovietica ancora nel 1934 si girano in
maggioranza film muti.
Ma in un mercato come quello europeo, in cui si
parlano tante lingue differenti, la rivoluzione del sonoro pone dei problemi
per la distribuzione all’estero.
Fino
al 1931 era impossibile realizzare
il suono in post–produzione: tutto era
registrato in diretta e quindi non si poteva effettuare
il doppiaggio.
Per
risolvere il problema all’inizio degli anni Trenta si girano film in più
lingue: lo stesso regista, sullo stesso set gira più volte la medesima
scena con attori di nazionalità differente. In alternativa
si producono film in versione unica in cui si parlano più lingue, in modo tale che
almeno in parte la storia possa essere seguita.
A
partire dal 1932 si afferma la pratica
del doppiaggio, che consente ad Hollywood di continuare ad inondare il mercato con i
propri prodotti, permettendo alle Majors di mantenere la loro posizione di superiorità
in Europa.
(In
Inghilterra, dove non si poneva il problema del doppiaggio delle
pellicole americane, si sviluppò una politica protezionista che puntò a salvaguardare l’industria cinematografica nazionale con
buoni risultati, ma questo non ostacolò comunque
l’esodo di alcuni registi, come Hitchcock, attratti dalle maggiori possibilità
tecnico – finanziarie offerte dagli studios).
Con
l’introduzione del sonoro, però, si teme che esso possa far regredire il
cinema a livello di “teatro fotografato”,
con l’unico scopo di affascinare il pubblico con parole e musica, il ponendo in secondo piano il lavoro sulla messa in scena e
sul montaggio.
Nel
1928 Ejzenstejn, insieme ad altri registi,
pubblica un testo teorico, passato
alla storia come “Manifesto dell’asincronismo”:
-
si sostiene che il suono non deve corrispondere
all’immagine, ma si devono invece realizzare delle dissonanze tra i due
piani, dei giochi di non-sincronia in modo da ottenere metafore audio-visive.
Ad
es. nel film “Okraina”
di Barnet del 1933, ambientato nella prima guerra
mondiale, c’è un uso del sonoro non reale : si
sovrappongono i rumori delle mitragliatrici della battaglia con quelli delle
cucitrici della fabbrica, con l’intento di far capire che la guerra è causata
dal sistema capitalistico.
IL CINEMA DELLE DITTATURE
Dopo la fine della Grande Guerra il cinema italiano vede un periodo di crisi.
Il
regime di Mussolini, che ha preso potere nel 1922, all’inizio non presta molta
attenzione al cinema.
Nel
1932 viene istituita la Mostra del Cinema di Venezia, il primo festival cinematografico
al mondo.
Per
definire il cinema italiano degli anni Trenta si usa spesso l’espressione di “cinema
dei telefoni bianchi” simbolo di eleganza e
tecnologia, icona di un’Italia ricca e moderna.
Il
regime non è interessato tanto alla propaganda in senso stretto, quanto ad un
cinema di alto livello che possa competere con le
pellicole di Hollywood che circolano in Italia in questi anni.
Per
il cinema tedesco, del periodo
nazista, vale lo stesso discorso: anche qui il regime preferisce film di intrattenimento, privi di espliciti messaggi politici, e
di alta qualità tecnico-formale.
In
realtà, in Germania come in Italia, non è semplice distinguere nettamente tra
propaganda e intrattenimento.
Il
principale problema del cinema tedesco in questi anni è che l’ascesa al
nazismo accelera la fuga verso Hollywood, iniziata già nel 1933 per motivi
economici (es. Fritz Lang).
Contrariamente
in Unione Sovietica, guidata da
Stalin, il regime introduce una dottrina ufficiale in campo artistico che va
sotto il nome di “realismo socialista”
(inaugurato con l’uscita del film “Ciapaiev” diretto dai fratelli Vasil’ev)
che pone definitivamente termine alla stagione di sperimentazione iniziata con
la Rivoluzione d’Ottobre. Il realismo socialista postula la necessità di
realizzare un’arte realista, sul modello della narrativa dell’Ottocento, che sappia esprimere la visione socialista del mondo in forme
chiare e comprensibili per il pubblico.
Molti
grandi registi si trovano costretti a uniformarsi al
nuovo credo. L’esempio più emblematico è Ejzenstejn,
accusato di formalismo già ai tempi di “Ottobre”. Il suo primo film sonoro
è ”Alexander Nevskij”. Comunque pur non potendo riprendere le sue idee
sull’asincronismo, perché idee troppo formaliste, si concentra sul rapporto
tra suono e immagine cercando di realizzare un suono “polifonico” in cui suono e immagini procedono
simultaneamente.
IL CINEMA FRANCESE
Dal
punto di vista dell’assetto produttivo quella francese è la più debole tra
le grandi cinematografie europee degli anni Trenta :
la Gaumont e Pathè
falliscono e lo Stato non è di aiuto con interventi di sostegno nel settore.
Ciò nonostante il cinema francese rappresenta la
realtà più viva all’interno del panorama europeo.
La
tendenza principale è il cosiddetto realismo
poetico. Le vicende del realismo poetico sono ambientate nei quartieri
di periferia e gravitano attorno a figure anonime: malviventi, operai,
(personaggi spesso interpretati da Jean Gabin, vera icona del realismo poetico) destinati
ad essere sconfitti dal fato, prima ancora che da una società ingiusta.
In
questi film emerge la volontà di portare sullo schermo la dura realtà della
vita del proletariato, operazione che è però condotta con i canoni del
cinema classico. Si tratta di film girati in studio. Al centro della trama ci
sono persone sì ordinarie, cui però accadono fatti straordinari.
Non
tutto il cinema francese è riconducibile al realismo poetico; le commedie di Renè Claire riscuotono
molto successo grazie anche ad un uso creativo del sonoro, pur non
abbandonando la lezione del cinema muto: nelle sue opere i dialoghi sono
scarsi, spesso i personaggi cantano o danno vita a gag in cui l’azione muta è
commentata da effetti sonori e dalla musica.
Un
altro grande è Jean Vigo, legato all’esperienza delle
avanguardie storiche. Il suo primo film,
“A proposito di Nizza” è una “sinfonia metropolitana” in linea con le opere
di Ruttmann e Vertov.
L’invasione
tedesca della Francia, nel 1940, opera una cesura
netta all’interno della storia del cinema francese.
Alcuni
cineasti si rifugiano all’estero, ed altri rimangono a lavorare nella Francia di Vichy (stato
fantoccio).
JEAN RENOIR
Figlio
del pittore espressionista Auguste Renoir, debutta nel cinema muto, ma
si mette in luce soltanto con il sonoro.
Con
il film “La grande illusione” del 1937 ottiene un successo
internazionale.
Il
film è ambientato durante la Grande Guerra: alcuni ufficiali francesi sono
prigionieri dei tedeschi in una fortezza comandata da un capitano nobile (interpretato
da Stroheim). I rapporti tra i personaggi si articolano in base alle differenze
sociali: ad es. il francese de Boeldieu, un
aristocratico, si sente più vicino al capitano tedesco che ai suoi
connazionali, di estrazione proletaria, così come Marechal che all’inizio del film fraternizza con un
militare nemico che come lui ha fatto l’operaio.
La
storia si conclude con la fuga di Marechal
e Rosenthal, simboli di una nuova Europa democratica,
mentre de Boeldieu si sacrifica per permettere
l’evasione dei compagni.
La
questione del rapporto tra la civiltà dell’800 e quella del ‘900, che è al centro del film, è una delle possibili
chiavi di lettura del cinema di Renoir degli anni Trenta.
L’influenza
della pittura del padre e della letteratura del XIX
secolo sul regista è molto forte.
Rifiuta
il decoupage optando per il long take.
LA NOZIONE DI PIANO
SEQUENZA
L’espressione
di piano sequenza implica l’idea di un’inquadratura – un piano- che svolge da
sola il ruolo di un’intera scena.
Per
questa ragione bisogna distinguere il piano
sequenza dal long take
(letteralmente: inquadratura molto lunga). La lunga inquadratura del pranzo dei
servi de “La regola del gioco” è un esempio di long take, perché si tratta solo
di una delle inquadrature che compongono la scena in questione. Essa segue
senza stacchi una conversazione tra più personaggi, c’è un montaggio interno
quindi, cosa che il cinema hollywoodiano avrebbe risolto
con la tecnica del campo \ controcampo.
Per
il critico francese Bazin la tecnica del piano sequenza è intrinsecamente realista,
perché rispetta la ‘durata’ della realtà. Il piano sequenza condivide
con la realtà fenomenica una struttura caotica, piena di pause e incongruenze,
la dove il montaggio classico punta ad eliminare tutto ciò che non serve al racconto.
IL NEOREALISMO
E L’AVVENTO DEL CINEMA
MODERNO IN ITALIA Cap. VI
Il
neorealismo italiano si è manifestato per una breve ed intensa stagione: tra il
1945 di “Roma città aperta”
di Rossellini e il 1948 con l’uscita
di “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica e de “La terra trema” di Visconti.
Visconti
gira nel ’43
“Ossessione” film che anticipa l’arrivo del neorealismo.
Il
neorealismo non fu un vero e proprio movimento ma più un ‘insieme
di voci’ di molti professionisti del cinema che si trovarono a discutere per riformulare una nuova idea di
cinema.
Una
posizione teorica importante del neorealismo è rappresentata da Cesare Zavattini: egli afferma che
“bisogna buttar via i copioni e pedinare gli uomini con la macchina da presa”.
Questo perché non c’è bisogno di una sceneggiatura ma solo di una rappresentazione
della realtà che offre molteplici possibilità spettacolari.
Ma
questa idea utopica di un cinema che vuole riprendere
la realtà così com’è, è scarsamente applicabile alla pratica in quanto il regista
opera comunque una scelta decidendo cosa riprendere e cosa lasciare da parte.
-
Rossellini arriva al neorealismo dopo aver girato film di propaganda fascista;
-
De Santis arriva da una vivace militanza nella critica e dall’impegno nelle fila
della Resistenza;
-
Visconti fa leva su una profonda conoscenza della
letteratura e del teatro americano;
-
De Sica vanta una grande esperienza d’attore.
Nella coppia Zavattini,
De Sica:
c’è un particolare modo di pensare la struttura narrativa dei loro film
(“Sciuscià”
e “Ladri
di biciclette”): si punta verso una riduzione dell’intreccio
narrativo valorizzando il gesto minimo della quotidianità, seguendo
l’individuo nella sua semplicità, con l’intento di scoprire in queste realtà
infiniti universi di verità da rendere conoscibili. C’è quindi la volontà di
ampliare la conoscenza grazie all’incontro con la realtà. Vi è una vera e
propria ricerca nel mostrare il mondo così come appare.
Attraverso
il piano sequenza cercano di stare ‘addosso’ al reale,
non provocano stacchi nel montaggio.
Rossellini: In “Roma città aperta”,
“Paisà”
e “Germania
anno zero” (trilogia resistenziale) cerca l’impatto tra macchina da
presa e flusso delle cose. Egli rivela un’attenzione inusuale
alle piccole cose, ai fatti insignificanti, alla realtà così come si
presenta all’improvviso, e non alla spettacolarità. Alle scene madri preferisce
momenti di attesa o le sospensioni. L’obiettivo è
quello di dare film a basso costo e almeno parzialmente sganciati dagli
interessi dell’industria.
Nei
tre film la narrazione procede con l’intreccio di storie particolari e
distinte, ma al tempo stesso confuse con la storia del luogo, per arrivare a
definire un affresco storico nato come somma di piccoli fatti spesso autonomi.
Inoltre egli intende descrivere l’umanità senza prendere posizione politica.
Per questo motivo fu accusato di non aver colpevolizzato abbastanza i fascisti
in “Roma città aperta”. Egli, da cattolico, si difese affermando che non ci sono buoni o cattivi, in quanto si è tutti collettivamente
nell’errore e si deve scontare tutti una pena.
Dopo
questi tre capolavori Rossellini inizia una fase che
non segue più le ipotesi neorealiste, ma punta in direzione di un marcato
psicologismo con una forte presenza di religiosità.
Visconti : lo stile di questo regista
sembra allontanarsi notevolmente dai parametri dei precedenti autori.
Tutto
il materiale destinato all’immagine è sottoposto ad un preventivo processo
di selezione. Nulla viene lasciato al caso. Anche
per “La
terra trema” , film emblema di apparente
spontaneità, il rapporto con i pescatori siciliani protagonisti è frutto di un
lungo processo di elaborazione sia a livello recitativo che su quello
della presenza scenica. Questa maniacalità di Visconti lo
porta a girare più volte la medesima scena, per avere poi in sede di
montaggio una serie ampia di varianti da utilizzare.
Inoltre
Visconti ricorre a fonti letterarie come soggetti
per i propri film.
De Santis : presenta una profonda sensibilità
nei confronti dei gusti del pubblico. Cerca di costruire un cinema per il
popolo, che ha come protagonisti figure di reduci e di
contadini. Infatti i temi della cultura cittadina, il
melodramma, il cinema e la letteratura vengono ‘saccheggiati ‘da De Santis.
Secondo
il regista, il realismo non esclude affatto una finzione ne tutti i
mezzi classicamente cinematografici.
In
particolare intuisce che per raggiungere il pubblico bisogna importare modelli
americani e fenomeni divistici (Silvana Mangano è segno del divismo popolare
italiano), e si devono unire cultura alta e bassa.
In
sostanza il neorealismo si
presenta come un orizzonte variegato. Esistono comunque
dei punti di contatto tra i vari autori:
·
In primo luogo esiste la comune volontà di ampliare l’orizzonte del visibile cinematografico: i film sanciscono
la visibilità di realtà quotidiane, fatte di personaggi e ambienti fino
a quel momento esclusi dalla scena;
·
In secondo luogo viene avviata una profonda
riflessione sulle strategie di
narrazione del reale, ricorrendo sia alla narrativa del romanzo ottocentesco,
sia ad una trasparenza massima dell’immagine;
·
In terzo luogo si mette appunto un nuovo modello di comunicazione diretta tra personaggi e il pubblico,
producendo fenomeni di rispecchiamento e ricorrendo a modelli fortemente vincolati alla cultura popolare.
·
Gli autori neorealisti richiedono una professionalità zero da parte degli attori, che devono essere presi
dalla strada ( cosa non sempre attuata perché per es. in “Roma città aperta”
Anna Magnani è un’attrice già conosciuta nell’ambito spettacolare italiano).
ROMA CITTA’ APERTA (1945)
Realizzato
con bassi costi, il film è strutturato in due parti, che ruotano intorno alla
presenza di due figure , sora Pina e don Pietro.
1. Nella prima parte domina il senso
dell’azione, prevale il senso del fatto in quanto
tale, mentre nella seconda parte prevale il tema della parola, spesso
non detta. Nella sala della tortura infatti c’è
qualcosa che si dovrebbe dire ma dirla o meno vorrebbe dire prendere una
posizione politica. Questa parola detta –non detta, rientra nella logica del
tradimento.
2. Poi mentre nella prima parte
ci sono riprese in esterno, fatte in strada, nella seconda
compare un ambiente claustrofobico e labirintico, poiché composto da un
salottino molto lunghi, da luoghi fumosi e ombreggiati e infine dalla camera
delle torture.
3. La prima parte si conclude con la morte di sora Pina: questa sequenza risulta
scioccante per lo spettatore perché è enormemente dilatata in quanto vengono
inseriti al suo interno molti altri episodi (le donne che scendono in cortile,
il prete che finge una estrema unzione). In questo modo la morta della sora
Pina appare più dura. La seconda parte si conclude con
la morte di don Pietro che chiede il perdono per i bambini. Questa chiusura
tuttavia è ottimista poiché avviene una presa di Roma fatta dai bambini e si
vedrà una panoramica di questa città aperta non più a causa delle macerie, ma
aperta alla liberazione ed al cambiamento.
4. Il sistema dei personaggi
messo in scena è complesso perché ogni personaggi
intrattiene rapporti sia con i buoni che con i cattivi, nella logica che il
buono non è distaccabile dal cattivo: non ci sono personaggi da sacrificare o
condannare, sono tutti vinti dalla guerra. Ogni personaggio vive un profondo
senso di colpa: sora Pina ha un
figlio prima di sposarsi, Lauretta beve, Marina non si accontenta di
quello che ha e cerca un riscatto sociale con il tradimento, la prostituzione e
la droga, don Pietro non si accontenta di essere un prete e cerca di fare
l’eroe. Essi si addossano tutte le colpe degli altri in un
etica cristologica.
5. Il fatto che i dialoghi dei
tedeschi non siano sottotitolati, si spiega con la volontà di Rossellini di far
rimanere il suono tedesco un suono minaccioso e nemico, al di
là del contenuto (una parlata della paura). Tuttavia
essi sono mostrati allo stesso tempo come uomini in difficoltà, in crisi nel
momento in cui prendono coscienza dei loro errori e della loro cattiveria
(fatto non bene accetto dalla critica che voleva che il tedesco fosse
rappresentato come cattivo per poterlo accusare).
IL CINEMA D’AUTORE EUROPEO
DEGLI ANNI ’50 E ’60 - Cap. VII
Nel
corso degli anni ’50 il cinema europeo vive un momento di stasi, sia sul
piano del mercato, sia su quello della qualità produttiva.
L’assenza
di un movimento innovatore è comunque compensata dalla
presenza di un ristretto gruppo di autori il cui cinema riesce ad imporsi nel
mondo dei media e in quello dei costumi, oltre che nell’ambito cinematografico.
E sono autori come Luis Bunuel, Ingmar Bergman, Federico Fellini e Michelangelo Antonioni
che riescono ad imporsi sul piano internazionale.
Gli
elementi che tengono insieme questo gruppo di autori
sono vari:
·
Il lavoro del regista si estende a tutte le fasi della
lavorazione del film, dall’ideazione al montaggio definitivo;
·
I film d’autore si caratterizzano per una complessità di contenuti,
spesso di non facile lettura e che liberano il cinema da ogni residuo
commerciale;
·
Sul piano dello stile, i film d’autore si caratterizzano per una
particolare originalità espressiva, portando a nuovi modi di
rappresentazione;
·
Ciò impone anche un nuovo tipo di spettatore, la cui funzione
principale è legata ad un accrescimento culturale: deve giocare un ruolo attivo
per decifrare la ricchezza semantica del film.
·
Inoltre il film d’autore è reso riconoscibile perché si ripropongono forme e contenuti anche negli
altri film dello stesso autore che lo rendono così riconoscibile.
Negli
anni ’60 in generale gli autori sono liberi da vincoli e si mette alla prova il
loro stile autoriale: inizia qui la storia d’autore del cinema italiano. In
questi anni si racconta la modernità in modi diversi: pur mostrando aspetti
contraddittori si voleva rendere lo spettatore cosciente per permettergli di
formare una propria coscienza critica.
FELLINI: attraverso la “Dolce vita”
del 1960 egli vuole rappresentare la coscienza etica, cioè
la morale: il film infatti risulta un affresco della crisi dell’etica
soggettiva individuale. Gli anni ’60 infatti sono gli
anni della ripresa economica, del benessere. Tale rinascita economica porta la
coscienza etica e i valori a sfaldarsi. I personaggi non vivono, ma
sopravvivono, non sanno chi sono e cosa devono fare.
Il
film è una somma di casi sociali dove la logica che li tiene insieme si perde; risulta quindi difficile tracciare una trama. Si trovano dei
personaggi squallidi, che vagano in un ambiente
labirintico e notturno. Si passa da un personaggio all’altro senza una logica
ben definita.
Alla
base del film c’è una rottura con la continuità che caratterizzava il cinema
classico. Fellini crede che la realtà non sia continua e coerente, e che si
possa rappresentare solo attraverso il frammento, la sommatoria di casi,
appunto.
L’incoerenza
è motivo di coscentizzazione dello spettatore: i vuoti presenti nel film sono da colmare con le domande che lo spettatore deve porsi.
LA << NOUVELLE VAGUE>>
Cap. IX
Nel
maggio del 1959 vengono
presentati al Festival di Cannes, “I 400 colpi” di Truffaut e “Hiroshima mon amour” di Resnais: da questa data viene fatto iniziare il nuovo corso
del cinema francese degli anni Sessanta.
Con
il termine ‘nouvelle vague’ (nuova ondata)si intende indicare
quel gruppo di autori cresciuti come critici negli anni precedenti (1957)
attorno alla rivista ‘Critica sul
cinema’ (ed anche grazie al supporto di Andrè
Bazin).
In
seguito il termine indicherà il movimento cinematografico, anche se più che
movimento esso si riferisce ad un’ipotesi di cinema, ad una nuova idea di
cinema che sta dietro ai loro film.
Questo
gruppo di giovani critici svolge negli anni ’50 una critica molto schierata e verranno chiamati in seguito ‘giovani turchi’ perché
animati da idee rivoluzionarie: polemizzano contro il cinema francese perché
privo di qualità cinematografica e perché troppo ‘scritto’ dai
sceneggiatori, i dialoghi non rispecchiano la realtà.
Il
cinema della nouvelle vague è un cinema d’autore in cui il regista deve
costruire da se le anche sceneggiature (ma in realtà era sempre affidata a
qualcuno).
C’è
la piena libertà dell’autore che è il solo responsabile dell’opera;
quindi è un cinema fortemente personale.
I
registi della nouvelle vague vanno contro un cinema piattamente commerciale.
Anche per questo motivo propongono prodotti a basso
costo: lasciano quindi i teatri di posa a favore degli ambienti naturali, si servono di piccole troupe, usano apparecchiature
ridotte, e girano con attori non
professionisti.
Ma l’apporto innovativo non è legato solo alla
riduzione dei costi.
Gli
obiettivi che si cerca di raggiungere sono:
·
Si punta ad uno sguardo
cinematografico nel quale realismo e finzione si mescolino,
e che riesca a rivelare il dato fenomenico (come aveva fatto il migliore neorealismo italiano) e non a
riprodurlo;
·
Si cerca di sottrarsi alla concatenazione obbligatoria dei fatti,
facendo entrare nel racconto l’elemento
casuale, dando spazio all’improvvisazione.
·
Viene ridefinito il ruolo
della donna, non più segno di femminilità e sessualità, (si presenta
infatti con un fisico più asciutto e con capelli più corti), ma che cerca la
propria indipendenza, che sceglie il suo destino.
Insieme
a Bazin, c’è Astrouc , considerato il padre
della nouvelle vague, che afferma che il cinema non è un passatempo ma è un
linguaggio, egli vede il cinema come vera espressione. Fino ad
allora il regista è un esecutore tecnico della sceneggiatura, Astrouc afferma che il regista deve essere considerato un
autore.
In
Italia non si ha una nouvelle vague, ma da questa i registi prendono spunto per
una produzione non più vincolata agli standard, ma più autoriale.
JEAN-LUC
GODARD
Cerca
di proporre una sorta di riscoperta del linguaggio
cinematografico.
In
“Fino
all’ultimo respiro” del 1960 viola le regole del cinema classico:
·
I personaggi parlano con il pubblico;
·
Saltano i raccordi, ci sono stacchi violenti
·
Il racconto è pieno di pause (senso di improvvisazione,
di deriva)
·
Usa un montaggio discontinuo (rifiuto campo – controcampo)
·
La macchina da presa è avvertibile perché non c’è fluidità
·
Rifiuta il decoupage per una maggiore realtà
Godard prima rinnova il personaggio femminile nei tratti
somatici, poi introduce una novità nel comportamento della donna, ridefinito
come un personaggio che può scegliere il proprio destino e che porta avanti lo
sviluppo narrativo. I suo film non sono compatti,
sembrano appunti poco coerenti, proprio a causa della presenza della donna che
rallenta la narrazione per aprire momenti di riflessione.
FRANCOIS
TRUFFAUT
ALAIN RESNAIS
IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 E ’70
Cap. X
L’espressione
‘nuovo cinema’ indica per
convenzione una serie di esperienze creative che si
estendono fino ai primi anni Settanta.
Il
nuovo cinema rimette in questione il cinema stesso, le sue forme discorsive, le
sue strutture narrative.
Mira
ad un trasformazione del linguaggio e
insieme ad una trasformazione dell’individuo stesso.
I
principali cambiamenti sono legati all’evoluzione tecnica che accelera i tempi di ripresa :
§
Le troupe sono più ridotte
§
Si introducono pellicole più sensibili
§
Prevale un’illuminazione diffusa
§
Il set diventa più agibile e sempre più vicino alla realtà
§
Le apparecchiature sono più leggere e maneggevoli (favorisce l’impiego
della macchina da presa a mano)
§
È possibile registrare il suono in presa diretta, grazie anche a
microfoni direzionali molto recettivi
§
Si diffonde l’uso dello zoom
Nell’insieme
si realizza un cinema fondato sulla creatività individuale più che
sull’organizzazione industriale.
L’affermazione
di questo ‘nuovo cinema’ è resa possibile anche dall’emergere di nuove condizioni produttive: si moltiplicano infatti le iniziative di produzione indipendente,
promosse spesso dagli stessi registi.
L’affermarsi
del nuovo cinema è dovuto anche a trasformazioni nell’orizzonte sociale.
Esso
pone al centro un nuovo soggetto esistenziale, immerso nelle
problematiche relative alle scelte di vita e alla
costruzione del proprio destino:
-
generalmente giovane
-
che spesso rifiuta i valori della famiglia
-
e va controcorrente, rigettando le regole e le
convenzioni
-
segnato, però, dal desiderio di aprirsi a nuove esperienze
Vi
è quindi una vera critica della società contemporanea.
Tutto
ciò porta ad un cambiamento nella struttura
narrativa :
·
l’intreccio drammatico viene ammorbidito
·
c’è un andamento più libero e casuale degli eventi
·
i contenuti narrativi assumono articolazioni più
aperte
Anche la messa in
scena è organizzata in modo differente:
¨
il regista è anche autore della sceneggiature
¨
si favoriscono inquadrature molto lunghe e i piani
sequenza
¨
c’è il rifiuto del campo – controcampo
¨
è aumentata la mobilità della macchina da presa
¨
c’è lo scavalcamento di campo
¨
le riprese avvengono in spazi naturali
¨
uso di attori non professionisti
IL CINEMA ITALIANO DEGLI ANNI ’60 E ’70
Cap. XI
In
realtà in Italia questa “nuova ondata” c’è già stata, tra il 1945-1946 e il
1952-1953: ed è stata la complessa dinamica neorealista,
durante la quale viene creato un nuovo immaginario cinematografico basato su un
diverso rapporto con la realtà, dove si sono formati registi (come Visconti, De
sica, Fellini) ed alla quale si accostano i nuovi.
(Questo
è attestato anche dal fatto che in questi anni molto più
di 1\4 dei nuovi esordienti non andò oltre la prima opera - il film d’esordio-
e un altro 1\4 oltre la seconda.)
I
GENERI
Gli
autori di questi anni passano da un genere all’altro: tra la fine degli
anni ’50 e i primi anni ’60 si succedono il filone dei “pepla” ( gli Ercole, i Maciste…
circa 1\10 della produzione italiana), il precario boom dei film “sexy”, oltre alla produzione
legata al genere “giallo”, “fantastico” e “spionistico”.
Questi
generi sono però destinati ad essere seppelliti dal genere western che per dieci anni dal 1964
con i film di Sergio Leone, come “Per un pugno di dollari”
al 1978 con “Sella
d’argento” ( uno degli
ultimi episodi del filone) di Lucio Fulci, vanterà oltre i 400 titoli.
Ma questi anni vedono anche il prevalere della
cosiddetta “commedia all’italiana”, che domina la produzione
dai primi anni ’60 agli inizi degli anni ’70. Questa da un lato viene a costituire il più rilevante prodotto medio presente nella
cinematografia italiana e dall’altro appare ancora oggi come uno
specchio della storia italiana del periodo.
LUCHINO VISCONTI, FEDERICO FELLINI,
MICHELANGELO ANTONIONI.
Nel
corso del decennio autori come Rossellini e De Sica si perderanno
nel panorama del cinema italiano.
Non
sarà così per tre autori:
Visconti: con il suo monumentalismo
scenografico ed espressivo e con la minuziosa analisi del personaggio;
Fellini:
E
in particolare Antonioni che dopo il
breve ma intenso periodo neorealista da avvio ad un proprio “neorealismo
dell’anima” : Antonioni infatti viene segnalato come
l’autore ideologicamente più libero, culturalmente più autonomo e
stilisticamente più creativo.
Lo
conferma soprattutto con il film “Il grido” del 1957 e con “L’avventura” del
1960, dove si evidenzia quasi tutto il patrimonio tematico:
dall’amore, alla solitudine, al rapporto di coppia al
nuovo ruolo della donna, più autentica e sincera dell’uomo.
C’è
anche da sottolineare come la grandezza dell’Antonioni
del ’60 sia all’insegna della continuità e non certo di rottura con gli anni
’50.
Nei
primi anni ’70 è presente in Antonioni un “nuovo sguardo critico” sui
sentimenti e sugli uomini, un cinema come “critica dello sguardo” dove
l’esperienza esistenziale narrata e l’esperienza dello sguardo che la narra
siano ambedue tema del racconto.
IL CINEMA NON-NARRATIVO:
DOCUMENTARIO e FILM SPERIMENTALE
Cap. XII
Il
film a soggetto ha preso il
sopravvento sulle altre forme di cinema a partire dall’introduzione del
lungometraggio, avvenuta intorno alla metà degli anni Dieci.
Nel
cinema classico la proiezione del lungometraggio di finzione era preceduta da
quella di altri film: un documentario, una breve
comica, un cartoon.
La
centralità del cinema di finzione è tale che per indicare il documentario si
usa il termine di non-fiction,
una definizione in negativo come a intendere che il
film a soggetto è la norma e le altre forme solo un’anomalia rispetto ad essa.
Il
cinema non narrativo si divide in due aree: il documentario e il film
sperimentale.
IL DOCUMENTARIO
All’interno
del documentario troviamo generi tra loro molto diversi, per finalità, modalità di realizzazione e di fruizione: ci sono film
etnografici, film socio-politici, film scientifici.
Ciò
che accomuna fra loro film così diversi è il fatto di non
raccontare una storia: qui non c’è sceneggiatura, non ci sono né fabula né
personaggi. Questi ultimi sullo schermo si limitano ad essere loro stessi,
anche se la consapevolezza di essere osservati dalla macchina da presa ne
modifica gesti e parole.
Il
cinema nasce come strumento di registrazione del reale. Nel cinema delle
origini non c’è distinzione tra cinema di fiction e non-fiction: i
programmi delle proiezioni cinematografiche prevedevano un “pacchetto” misto di
film di finzione e non, che facevano però parte dello stesso spettacolo.
Lo
scoppio della prima guerra mondiale fornisce un forte impulso allo
sviluppo del non-fiction a causa delle potenzialità propagandistiche del cinema. Così i documentari che illustrano i vari aspetti
del conflitto sono i primi esempi film di non-fiction.
La
storia del documentario inteso come forma espressiva inizia con “Nanuk l’eschimese”, il primo film di
Robert Flaherty, un
esploratore che cominciò ad utilizzare la cinepresa per documentare i propri
viaggi.
Al
centro del film c’è il tema del conflitto tra l’uomo e la natura, inoltre vuole
documentare i costumi di popolazioni ai margini del mondo moderno. Egli punta a uno stile ‘trasparente’: il film non deve alterare
il reale, la limitarsi a registrarlo. Per questo opta
per un montaggio ‘invisibile’ che rappresenti il flusso naturale delle
cose.
Non
solo, in alcuni casi Flaherty ricorre ad un vera messa
in scena, come quando per es. fa ricostruire in parte un igloo per girare
le scene di interno.
Flaherty
cerca di rivelare la realtà senza il bisogno di alterare la realtà fenomenica.
L’uso
del cinema di non-fiction come strumento di informazione
e di propaganda viene amplificato, anche grazie all’introduzione del
sonoro durante il secondo conflitto mondiale. Viene infatti
‘trasformato’ in uno strumento ideologico per mobilitare il fronte
interno e motivare le truppe combattenti.
Durante
la seconda guerra mondiale si diffonde l’uso di cinecamere leggere 16 mm,
che l’operatore può portare a spalla; vengono inoltre
introdotti magnetofoni portatili in grado di registrare il suono in
sincrono con la pellicola.
Questa
rivoluzione tecnologica è alla base dello sviluppo del cinema diretto, una corrente del documentario che si sviluppa a
cavallo tra gli anni ’50 e ’60, in Canada, Stati Uniti e in Francia
(detto cinèma-vèrité).
La
differenza tra i due è che mentre il cinema
diretto si limita a registrare eventi che si sviluppano indipendentemente
dalla volontà dell’autore, nel cinèma-vèrité
il regista partecipa in prima persona alla genesi dell’azione che riprende.
IL FILM SPERIMENTALE
A
partire dagli anni Trenta l’avanguardia Europea perde la forza di invenzione. Dagli anni ’40 si assiste ad uno spostamento
del centro della ricerca dall’Europa all’America. Naturalmente il cinema
sperimentale americano è influenzato parzialmente dalle avanguardie europee: la
sinfonia visiva, l’astrazione dinamica, la registrazione
dell’inconscio diventano modelli, possibilità creative a cui i nuovi
autori fanno riferimento.
Avvia
la grande stagione americana un cinema visionario, che affonda nell’orizzonte
psichico soggettivo e ne proietta le percezioni, i fantasmi e le ossessioni in
un percorso visivo irrazionale ed emotivo.
Gli
eventi sembrano il prodotto di una allucinazione.
Sogno e realtà, mondo oggettivo e immaginario si mescolano creando uno spazio
irreale. E questo solo con l’uso fondamentale del
montaggio.
IL CINEMA UNDERGROUND
È un cinema non narrativo, non rappresentativo,
visionario, assolutamente personale, è il rovesciamento del sistema hollywoodiano.
È l’affermazione del diritto dell’artista alla ricerca, l’apertura all’uso
della fantasia, l’introduzione nel cinema dell’inconscio, del sogno. È un
cinema che privilegia la funzione poetica e quella
espressiva nei confronti di quella comunicativa.
IL CINEMA AMERICANO DEGLI ANNI ’60
Cap. XIII
Alla
fine degli anni ’60 il panorama complessivo dell’industria del cinema americano
è molto mutato.
Le
grandi case di produzione svolgono soltanto il ruolo di distribuzione, mentre
la produzione è realizzata da piccole compagnie, spesso legate al nome di una attore o di un regista.
Anche il pubblico cambia: mentre le famiglie restano a
casa a guardare la televisione, ora sono i giovani ad andare al cinema.
Il Production Code viene sostituito da un sistema di
classificazione dei film in base all’età degli spettatori nel 1968.
Nasce
la cosiddetta ‘New Hollywood’ che
può essere vista come una mediazione tra l’idea del cinema d’autore europeo e
il tradizionale apparato hollywoodiano.
Un
altro segno della morte della Hollywood classica è
sottolineato dal fatto che per la prima volta emerge un nuovo centro produttivo
alternativo a quello californiano: New York.
Tra
il 1967 e il 1969 escono tre film che riscuotono
successo e che vengono subito considerati come ‘manifesti’ di una nuova
generazione: “The Graduate” di
Mike Nichols, “Bonnie end Clyde” di Arthur Penn e “Easy
Rider” di Dennis Hopper.
Questi
film raccontano storie legate al clima della rivolta giovanile degli anni ’60.
Per
gli argomenti trattati (sesso, violenza e droga) e per i personaggi presentati
(giovani in crisi esistenziale) segnano una svolta rispetto alla
Hollywood classica.
Sul
piano stilistico però non risultano molto
lontani dalla tradizione classica: non si trova la frattura con il modello
classico operata in Europa dalla nouvelle vague.
In
primo luogo questi autori si rifanno ai generi hollywoodiani canonici
(ossia la commedia, il gangster film e il western, di cui il road movie è uno
degli eredi).
Inoltre
questi film sono più vicini alla compattezza e alla linearità del cinema
americano classico che al decadrage e alla disarticolazione narrativa del cinema della
modernità europeo (anche se fa eccezione Easy Rider in cui il montaggio è molto
frammentato, ricco di flashforward con una sequenza psichedelica).
La
rivisitazione in chiave politica del passato americano è uno dei tratti
istintivi della New Hollywood; ciò spiega anche l’interesse che in molti autori
suscita il genere western.
Il
percorso di Stanley Kubrick, il
più grande regista americano dagli anni ’60 in avanti,
è estraneo alla New Hollywood: il suo lavoro procede in totale autonomia
rispetto a qualsiasi movimento o tendenza organizzata. Kubrick
si pone come esempio radicale di autore totale, in contrapposizione alle modalità produttive
hollywoodiane, anche se bisogna sottolineare che lavorò sempre con le Majors.
TENDENZE DEL CINEMA CONTEMPORANEO
Cap. XIV
I
primi anni ’80 vedono in America
il ripristino di un rigido sistema industriale, simile a quello della Hollywood classica che riduce i margini di libertà di
cui i registi avevano goduto durante il decennio precedente.
Sul
piano stilistico la produzione degli anni’80 e ’90 recupera la lezione del
cinema classico:
¨
un racconto fluido e compatto che punta alla totale
identificazione dello spettatore;
¨
un’opzione preferenziale per alcuni generi forti, come
azione, commedia, horror e fantascienza;
¨
uno spettacolo sfarzoso, che fa ampio impiego di
effetti speciali.
In Europa questi anni non sono molto
rosei per il cinema.
Da
un lato la concorrenza americana, dopo la “rinascita” di Hollywood, si fa
ancora più agguerrita.
Dall’altro
la televisione sottrae un’ampia fetta di pubblico ai film. Il risultato è una
quasi totale scomparsa, dal panorama del cinema europeo, del racconto di
genere, ossia delle forme più popolari.
APPUNTI
PER L’ESAME DI:
ISTITUZIONE DI STORIA DEL
CINEMA
al DAMS di Torino -2004
Tratto dal libro
INTRODUZIONE ALLA
STORIA DEL CINEMA
Autori, film,correnti
a cura di
PAOLO BERTETTO